Il crimine non è critica, la critica non è crimine

L'abbiamo scritto dopo l'11 settembre (il foglio 285), e lo ripetiamo oggi dopo l'assassinio di Marco Biagi, consulente del governo per i problemi del lavoro.

Chi usa la morte altrui tra i mezzi della politica - o con la guerra come pretesa soluzione delle controversie internazionali, o con l'omicidio politico - oltre che criminale, è assolutamente antipolitico e stolto.

Perché danneggia la causa per la quale crede di combattere, facendola apparire disumana, anche quando sarebbe in sé giusta. Perché offre e regala all'avversario l'argomento decisivo: la politica non si fa con la morte. Perché la poltica è l'arte della convivenza, non è una gara ad eliminazione. Perché le armi, di stato o di banda, a differenza dell'argomentazione e del dibattito ragionato, non indicano mai chi ha ragione, ma solo chi è più armato, più spregiudicato, più crudele. Perché l'essenza della politica è la soluzione vitale, e non mortale, dei conflitti tra differenze nella pluralità sociale.

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