Il peso del sangue

Sono giorni, questi, in cui le grandi mani pietose di Dio raccolgono schiere di vittime che dalla terra salgono a lui, insanguinate.

Per chi sa vedere, esse lasciano una scia dolorosa di sangue sulla terra fino su, nei cieli, una scia rossa e nera, che oscura il sole e i significati. Una scia che pesa sui nostri cuori attenti e schiaccia il nostro respiro.

Vorremmo non vederle, quelle tante vite spezzate. Il loro corteo, il loro urlo silenzioso, ci costringono a guardarle, nelle giornate operose e nei sogni della notte.

Sono vittime innocenti dell’odio altrui, ed anche vittime del proprio odio, della morte che volevano dare, della morte che danno a sé stessi per darla, indiscriminatamente, a cittadini di un popolo che sentono nemico. Arrivati esausti nel tepore di quelle grandi mani, si guardano stupiti, si riconoscono, si perdonano.

Piangono insieme. Insieme, tornano a guardare indietro.

Vedono politici e militari che pianificano ed eseguono stermini, perché per loro è utile non fare prigionieri: meglio ucciderli.

Vedono giornali importanti che scrivono: ci vuole una soluzione soltanto militare, non politica, bisogna rioccupare territori parzialmente riconosciuti ad un popolo senza patria. Sotto-mettere, non trattare.

La terra trema fino nelle viscere e gli astri assistono scandalizzati: la loro luce vacilla, si oscura di lacrime.

L’universo sente pena e ira per una umanità incatenata da anelli ed anelli duri di odio, che si generano a ripetizione.

Una umanità – ma anzitutto i potenti che decidono per tutti – che non ascolta la saggezza, la magnanimità, l’intelligenza che sanno tagliare la catena dell’odio.

Il punto, riguardo alla violenza che ammorba i nostri giorni e ci fa vergognare davanti alle pacifiche cose e agli animali, è che, restituendo male per male, pena per delitto, morte per morte, vendetta per vendetta, crescono sempre più male, pena, morte e vendetta.

Il punto sta nel sapere se la politica possa usare la morte senza morire; se ogni azione umana possa usare la morte senza morire.

Il punto sta tutto nella necessità – a cominciare dalla propria casa, dalle relazioni quotidiane – di fermare il proprio pensiero e la propria mano dal raddoppiare il male, fino a diventare capaci, un poco alla volta, di rendere bene per male, e così farsi umili creatori, artigiani di una realtà liberata, dalla casa al mondo.

Abbiamo paura di questo passo, siamo prigionieri del passato che non passa. Vediamo solo, pavidamente, il rischio dell’opporre saggezza e pace alla guerra, giustizia all’ingiustizia, umanità alla disumanità, coraggio al terrore.

E non vediamo ancora che è rischio ben più alto e terribile, totale, finale, il danno interminabile della vendetta.

Chi oggi sente il dolore di Dio, il peso insopportabile di sangue sulle sue mani, l’onta della guerra sulla terra e sulla storia umana, chi oggi ha il cuore in lotta contro la disperazione, cerchi gli altri, anche pochi, che soffrono come lui, plachi lo scandalo del cuore, attivi la mente, faccia conoscere nel dialogo con tutti – con chi crede di dover sostenere la guerra per vincere il male – le alternative alla follia che c’erano e ci sono. Le abbiamo viste e dette. Vediamole ancora, e meglio, diciamole ancora, anche se siamo derisi, tacitati, accusati. Pratichiamole in ciò che dipende da noi.

Enrico Peyretti


 
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