SULLA TRAGEDIA PALESTINESE |
La vendetta non è difesa |
Arafat, pur prigioniero e minacciato, preghi e ordini di nuovo e più fortemente a tutti i palestinesi di cessare ogni e qualunque attacco, nonostante la disperazione e la provocazione. Come ha scritto «Ha’aretz», quotidiano israeliano, «i kamikaze nascono ai posti di blocco», ma niente giustifica l’uccisione indiscriminata di civili, e ogni violenza omicida si risolve in oggettiva complicità con l’avversario, a cui offre forti motivi per rappresaglie di crescente violenza. Oggi i palestinesi sono i più deboli e più atrocemente colpiti, perciò la prima solidarietà è per loro: è in corso la guerra spietata di un ricco esercito contro una popolazione civile stremata. Il popolo palestinese ha diritto non a concessioni parziali sul proprio territorio militarmente occupato, ma al riconoscimento di una patria, di un territorio continuo, di uno stato, e a trattative paritarie sulle questioni controverse. Ricorda, Israele, la tua storia antica e recente, ricorda che sei stato straniero e oppresso, deportato e sterminato; ricorda la legge di vita che ti ha costituito come popolo. Lo stato attuale di Israele ha diritto ad esistere come i popoli vicini, non di più, anche se è stato insediato in quella terra senza tener conto dei popoli che l’abitavano e delle loro reazioni conseguenti al colonialismo europeo che avevano patito, a cui Israele veniva inevitabilmente assimilato, senza che si facesse abbastanza per togliere questo equivoco. Il modo con cui l’esercito israeliano tratta la popolazione palestinese, specialmente in questi giorni, ma già prima in generale e in specie ai posti disumani di blocco, è di superiorità e disprezzo, anche militarmente inutile, diretto a offendere e umiliare, a distruggere la vita quotidiana e l’economia più elementare, a far soffrire e morire feriti, partorienti, bambini. Come si chiama questo atteggiamento? Non è evidentemente indegno della esperienza e della civiltà ebraica? Oggi i volontari internazionali della pace, a loro rischio, con la loro presenza, fanno da scudo coi loro corpi alla popolazione civile bombardata e angariata nelle case private. Mentre la comunità degli stati, le istituzioni internazionali, gli Stati Uniti con la loro enorme responsabilità, l’Europa, si muovono tardi e indecisi, sono i volontari della pace che salvano l’onore dell’umanità di fronte a questo orrore, uno dei tanti che disonorano la politica perché negano la pace. Quei commentatori che sono sempre, davanti ad un conflitto armato, più severi coi pacifisti che coi bellicisti, trovano qui una risposta alla loro rituale domanda: «Cosa fanno i pacifisti?». Gli operatori di pace non mancano, tanto in Israele quanto in Palestina, specialmente tra coloro che hanno subito in famiglia le opposte violenze. Centinaia di riservisti per obiezione di coscienza preferiscono la punizione al coinvolgimento nella repressione militare nei territori. Soverchiati dalla politica violenta e dall’informazione che la riflette, tutti questi hanno diritto e bisogno del nostro ascolto e della nostra voce. Il modo con cui Israele disprezza le numerose risoluzioni dell’Onu – unica autorità dell’intera famiglia umana sui singoli popoli, per il bene comune superiore alle pretese particolari – è da condannare in nome del faticoso cammino di pace dell’umanità, ed è tale da causare e legittimare ogni altra prepotenza, dovunque. L’idea di superiorità e di diritti territoriali divini è nemica della pace, della giustizia, della sicurezza. Aspettiamo di sapere se ebrei italiani hanno detto o diranno una parola chiara, che venendo da loro avrebbe speciale valore, sulla ingiustizia e stoltezza della colonizzazione dei territori, e sulla politica di Sharon omicida e suicida, assolutamente insensata e foriera di ogni più grande male e dolore per tutti. Se lo stato di Israele si condanna a vivere in guerra perpetua coi popoli vicini, sopravviverà Chi ha imparato dalla Scrittura ebraica la legge della vita soffre particolarmente nel vedere e nel dover dire queste cose, ma parla per quello stesso dovere morale che dalla tradizione ebraica ha appreso. [ ] |