VENERDI SANTO 2002
Le vie della croce

Questa via crucis, scritta da Maria Chiara Tropea nel venerdì santo, è tragicamente bellissima, asciutta e vera come le passioni evangeliche, nella cui luce interpreta le passioni di oggi. Ne riproponiamo i nn. 6 (Gerusalemme ebraica), 7 (Sudafrica), 10 (Palestina).

6a stazione: 
la via della croce a Gerusalemme

Luca 23, 27-29: «Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato”».

Parla Nurit Peled-Elhanan, una donna di Gerusalemme: «A Gerusalemme, speranza e umanità stanno morendo: Israele sta diventando un cimitero di bambini e il cimitero cresce di minuto in minuto, come un regno sotterraneo che cresce sotto i nostri piedi e trasforma in un deserto tutto quanto ci circonda. È il regno dove abita la mia figlioletta, insieme al suo assassino palestinese, il cui sangue è frammisto a quello di lei sulle pietre di Gerusalemme, divenute indifferenti al sangue.

Lì giacciono con innumerevoli altri bambini, tutti ingannati.

L’assassino della mia figlioletta è ingannato, perché il suo gesto omicida e il suo suicidio non hanno cambiato alcunché, e quanti gli avevano promesso che il suo gesto avrebbe avuto un significato vanno avanti come se lui non fosse mai esistito.

La mia bambina è ingannata perché credeva, al pari di migliaia di suoi fratelli e sorelle, che la sua vita era al sicuro, che i suoi genitori la proteggevano dal male e che nulla poteva accadere alle bambine buone e gentili che percorrono le strade delle loro città per andare a lezione di ballo. E sono tutte ingannate perché il mondo continua a vivere come se il loro sangue non fosse mai stato sparso.

Questi astuti politici usano il nostro dolore come strumento politico e i nostri figli come fiches della loro lotteria: hai ucciso dieci dei miei, io ne uccido 300 dei tuoi e i conti sono sistemati sino alla prossima volta.

Non è una novità nella storia dell’uomo. I leader hanno sempre usato Dio e qualsivoglia altro valore sacro, come l’onore e il coraggio, come pretesto per le loro ambizioni megalomani.

E durante tutto il corso della storia la sola voce che ha cercato di smascherarli è stata la voce delle madri. La voce delle levatrici ebraiche che non obbedirono al faraone, la voce della nostra madre biblica Rachele, che piangeva i suoi figli e si rifiutava di farsi consolare. Le voci delle donne di Troia, delle madri in Argentina, delle madri in Irlanda e delle madri in Israele e Palestina.

Le madri sanno che la morte di un bambino – qualunque bambino, sia esso serbo o albanese o irakeno o afghano o palestinese o ebreo – è la morte del mondo intero, del suo passato e del suo futuro.

Se non vogliamo che tutto il mondo divenga il regno della morte, dobbiamo alzare la voce delle madri fin tanto che non facciano ammutolire tutte le altre voci.

Se il mondo non adotterà la voce delle madri ben presto non rimarrà alcunché da dire, alcunché da ascoltare, se non l’eterno lamento del lutto.

Vi prego, aiutate le madri ad avere il sopravvento e a salvare i figli».

Quanto attuali per questa madre e per migliaia di altre donne in Israele e nel mondo intero le parole di Gesù: «Figlie di Gerusalemme... piangete su voi stesse e sui vostri figli».

7a stazione: 
la via della croce in Sudafrica

Luca 23, 33-34: «Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”».

Il Sudafrica ha scoperto la forza del perdono per sanare le ferite di una lunga crocifissione, che ha coinvolto colpevoli e innocenti in sofferenze inaudite negli anni dell’apartheid.

È stata creata la Commissione per la verità e la riconciliazione, che ha fatto incontrare le vittime e gli aguzzini, per parlare del torto fatto e subito, per chiedere e ricevere perdono, per avere ascolto e risarcimento del dolore sopportato.

Dice il vescovo Desmond Tutu, che ha presieduto la Commissione: «Siamo rimasti profondamente colpiti e commossi dalla capacità di resistenza dello spirito umano. Persone che avrebbero avuto tutte le ragioni di essere fiaccate si sono rifiutate di piegarsi sotto il peso della sofferenza, della brutalità, dell’intimidazione; si sono rifiutate di rinunciare alla speranza di libertà...

È incredibile la capacità delle persone di essere magnanime, di non lasciarsi consumare dall’amarezza e dall’odio, di accettare l’incontro con coloro che hanno calpestato la loro personalità e i loro diritti, di volersi ancora confrontare in uno spirito di perdono e di riconciliazione, impazienti di conoscere la verità, di conoscere gli autori dei crimini così da poterli perdonare...».

Il processo di riconciliazione in Sudafrica non è né concluso né perfetto, e tuttavia le parole di Gesù sulla croce, «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno», sono entrate per la prima volta nella storia delle nazioni e negli strumenti che le istituzioni umane si danno per “fare giustizia”.

10a stazione: 
la via della croce in Palestina

Marco 15, 33-34; «Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

                                                                            Betlemme, 12 marzo 2002

Cari amici, sono trascorsi cinque giorni dall’occupazione delle nostre città, villaggi e campi profughi. Ieri vi ho scritto dell’umiliazione inflitta agli uomini dai 14 ai 50 anni del campo di Dheisheh; di quel campo oggi non resta più nulla. 

I carri armati e i bulldozer israeliani hanno distrutto le case di decine di famiglie, le strade del campo e qualsiasi altra infrastruttura. Mentre tutti gli uomini venivano radunati per essere arrestati, i soldati hanno perquisito centinaia di case e quindi le hanno demolite o rese completamente inagibili, terrorizzando bambini e donne. Tamara di 14 anni e Hanin di 12 sono sotto shock per aver visto brutalizzare i loro papà, i loro parenti e i loro vicini.

Mia cugina Mervat, che abita nel campo profughi di Aida, si è rifugiata nel sottoscala di casa sua, con le sue cinque figlie. La più piccola ha un mese. Mervat ha vissuto gli ultimi cinque giorni da sola, con le figlie e la suocera che ha un’anca rotta. Hanno vissuto l’inferno, perché i carri armati non hanno mai smesso di sparare sul campo e sui dintorni di Beit Jala. Immaginate cinque bambine, tra 9 anni e un mese, sottoposte ad un tale incubo e terrore.

Linda Massou, una giovane vedova con due figli, è andata a trovare i suoi genitori, alla porta accanto, e un carro armato ha sparato sulla sua casa provocando un immenso incendio che ha bruciato tutto. Linda ha perso tutti i suoi mobili, vestiti, oggetti di casa, compresi i libri dei bambini. 

Ora si è trasferita a casa di parenti con i suoi figli. Linda e i suoi bambini sono una delle centinaia di famiglie che hanno perso le loro case e i loro beni.

Noi cerchiamo di consolare questa famiglie dicendo loro che sono stati fortunati, che sono vivi e stanno bene. Non so bene se pigliamo in giro loro o noi stessi.

Se penso all’orrore che mi circonda, mi viene da piangere e gridare per tutta la mia gente.

Vi rendete conto di quanto poco valga la vita umana oggi in Palestina! In questi giorni la vita umana non vale più nulla!

Più di dieci carri armati sono passati davanti alla mia casa. Non so cosa altro possa accadere questa notte.

Pregate per noi... Se potete, fate sentire la vostra voce a chi ha il potere... Continuate a chiedere la pace per la Terra Santa...

Con affetto a voi tutti,
                                                                                    Marina Barham

In decine di messaggi come questo, il grido di Gesù «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» risuona oggi da città e villaggi della sua terra, assediati, bombardati, distrutti. Sotto gli occhi indifferenti del mondo.

Maria Chiara Tropea


 
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