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Valdo e Francesco: profeti del vangelo |
La storia della chiesa, segnata dalla costantiniana sovrapposizione tra politica e religione, conosce diversi tentativi di riforma e di rinnovamento evangelico, tesi a superare questa sovrapposizione e a ricondurre la comunità cristiana allo spirito delle origini. Tra questi, i più significativi e radicali si hanno nei secoli XII e XIII, in pieno Medioevo, coi primi fermenti del rinnovamento sociale e culturale e con la riscoperta dell’umanità del Cristo e della possibilità della sua imitazione nella vita terrena e sociale da parte del semplice cristiano. I nomi che subito corrono alla mente sono quelli di Valdo di Lione e di Francesco d’Assisi, ambedue promotori di un movimento di ritorno alla purezza e alla semplicità dei vangeli e ambedue segnati dal difficile rapporto con l’autorità della chiesa, che in un primo tempo sembra orientata ad accogliere almeno alcune delle loro sollecitazioni, e in seguito opera per il riassorbimento dei loro seguaci nelle sue strutture pastorali se non per una loro totale emarginazione. Tutti sappiamo che mentre il francescanesimo, ma non Francesco e i cosiddetti Spirituali, perseguitati fino alla loro estinzione, finì con l’accettare la richiesta romana di trasformarsi in una sorta di nuovo ordine istituzionalizzato, il valdismo seguì la strada della resistenza ad oltranza, trasformandosi a poco a poco in una chiesa alternativa a quella di Roma, perseguitato, per questo, come movimento ereticale prima, e dopo la sua adesione alla riforma protestante. Su Valdo e Francesco la bibliografia vastissima si arricchisce ogni anno di studi nuovi. Ne segnaliamo due, diversi per mole e per taglio storiografico, ma egualmente interessanti. Nel primo (Il segno del giusto, Diabasis, Reggio E. 2001, pp. 106, € 10,33) Alberto Castaldi affronta il problema del rapporto tra Francesco e l’ebraismo, proponendo di leggere alcuni atteggiamenti del Santo e alcuni aspetti del suo insegnamento come possibili indizi della sua origine ebraica. L’autore sa bene di non possedere testimonianze in grado di suffragare tale ipotesi, ma raccoglie e propone all’attenzione del lettore molti indizi, sparsi nelle fonti francescane; indizi che, collocati nel contesto storico e culturale dell’epoca e considerati nella loro totalità, sono in grado, se non di convincere, almeno di sollecitare a una nuova comprensione della figura e del messaggio di Francesco. Nel secondo (Valdo di Lione e “i poveri nello spirito”, Claudiana, Torino 2001, pp. 542, € 19,63) Carlo Papini fa il punto sui risultati raggiunti dalla storiografia del ’900 sulla complessa personalità di Valdo, sulle vicende della sua vita, sul nucleo della sua dottrina (cfr anche il foglio 289). Ma qui non si ferma. Prosegue infatti la sua indagine storica sugli sviluppi in Francia, in Italia e nel resto d’Europa del movimento che a Valdo si richiama, abbracciando l’arco del suo primo secolo di vita (1170-1270). È uno studio chiaro e dettagliato, ricco di riferimenti alla discussione critica sui primi passi del valdismo, ma anche di documentazione storica e storiografica sulla sua diffusione e sugli sviluppi dei suoi temi dottrinali preferiti, tra cui la richiesta di porre fine alla corruzione del clero e alla commistione tra politica e religione, il richiamo alla povertà, alla nonviolenza, alla testimonianza evangelica, alla diffusione della Scrittura in lingua volgare, alla predicazione dei laici e alla riforma complessiva della chiesa. Non secondario è poi lo spazio dedicato da Papini alla crociata albigese, che coinvolse i valdisti prima come missionari tra i Catari, poi come vittime, insieme a questi ultimi, della sanguinosa repressione. Comincia così la storia della secolare persecuzione inquisitoriale subita dai seguaci di Valdo; che produsse molti scritti polemici antiereticali di teologi romani, numerosi verbali di processi e alcuni interessantissimi manuali inquisitoriali, che la dicono lunga sulla diffidenza e sull’ostilità dei tutori dell’ortodossia nei confronti dei valori evangelici. Basti tra tutti ricordare questa pagina del Liber contra Waldenses Haereticos dell’Anonimo di Passau, che così delinea l’identikit dell’eretico valdense: «Non è difficile riconoscere gli eretici per i loro usi e i loro discorsi. Sono infatti di costumi ben ordinati e modesti; non si mostrano superbi nel vestire, perché non indossano abiti preziosi né trasandati; non si dedicano ai commerci per evitare ogni occasione di mentire, di giurare e di frodare, ma vivono soltanto del lavoro delle loro mani come artigiani; anche i loro dottori sono tessitori o calzolai. Non si arricchiscono ma si accontentano del necessario. Sono anche casti, moderati nel mangiare e nel bere; non frequentano le taverne, né si danno alle danze o ad altre vanità; si trattengono dall’ira; lavorano sempre, o insegnano o imparano, e così pregano poco. Fingono di andare in chiesa, danno la loro offerta, si confessano, e assistono alla predica, ma per criticare il predicatore» (p. 447). Aldo Bodrato |