CINEMA |
Amen |
Dal 1969 Constantin Costa Gavras ci ha abituati a un cinema civile, di denuncia di situazioni in cui il potere si abbatte sui diritti umani in un’orgia di violenza e devastazione: appunto da Z-L’orgia del potere (un caso Matteotti nella Grecia quasi preda dei colonnelli), a La confessione (lo stalinismo nella Cecoslovacchia del dopoguerra), a L’amerikano (i poteri occulti statunitensi in America latina), a Missing (la dittatura poliziesca cilena) e Anna K. (la repressione israeliana in Cisgiordania). Ora, con Amen, Costa Gavras affronta un arco storico più ampio e denso di protagonisti, e per questo più problematico e contraddittorio. Il progetto nazista di annientamento dei malati di mente, lo sterminio nei paesi invasi dell’Est, la razzia del ghetto di Roma, la diplomazia vaticana verso le grandi potenze, il ruolo compiacente del Vaticano nella fuga dei criminali nazisti: avvenimenti di enorme portata, ognuno dei quali richiederebbe un film per sé solo, si intrecciano tra loro e con la vicenda immaginaria. I rapporti tra Vaticano e nazismo non si lasciano facilmente concentrare in una narrazione teatrale che al contempo voglia essere ricostruzione storica. Questa contraddizione si rivela già dall’impianto del racconto, mutuato dal lavoro teatrale di Hochhuth Il Vicario. La storia ruota su due personaggi, uno reale (il colonnello delle SS Kurt Gerstein che intendeva rendere noto al Vaticano ciò che esso, come oggi ben sappiamo, comunque già sapeva dello sterminio nazista) e uno immaginario, il giovane gesuita che contrappone il suo sacrificio personale ai “dilemmi e silenzi” della Chiesa ufficiale. Il film appare pervaso dall’ansia di dire tutto su tanto, finendo per contaminare realtà storica e finzione scenica, dettaglio aneddotico e visione d’insieme, lasciando nello spettatore solo un senso di complessità poco comprensibile e non il voluto sdegno civile. Tra le tante curiosità aneddotiche, ci ha colpito il dettaglio dei giardinieri vaticani che si nascondono dietro un cespuglio, in uno scenario da teatro di marionette, per non turbare con la loro vista la passeggiata solitaria di Pio XII. Amen resta un film da vedere, nonostante tutti i suoi limiti e la grottesca vicenda collaterale del manifesto di Toscani. Su tutta la vicenda aleggia un senso di inquietudine, espresso dalle immagini ricorrenti dei treni ora con i carri bestiame sigillati, ora con gli stessi carri vuoti e aperti. Contrapposte con insistenza alle meschinità reali della diplomazia, alle citazioni compiaciute dei cardinali e nobili romani che gustano frutti di mare su una terrazza di Roma città aperta, le immagini simboliche dei treni che percorrono l’Europa insanguinata ricordano che quella era la realtà. Gianfranco Accattino |