TEOLOGIA, NON PUBBLICITÀ
Il senso degli eventi
Le domande fondamentali che Peyretti pone sulla storicità dei vangeli, dalla fine del XIX secolo sono oggetto di studio dell’esegesi biblica; sono domande poste in seguito da intellettuali e adesso anche da tanti cristiani che sentono il bisogno di dare ragione della loro speranza nel contesto generale dei metodi della ricerca storica. Il suo problema merita attenzione perché esprime delle domande anche di tanti altri credenti che vogliono capire. Non pretendo di risolvere un problema così complesso.

Fino al 1943, quando in piena guerra mondiale, Pio XII pubblica l’enciclica Divino afflante Spiritu, l’esegesi storico-critica non era accettata dalla chiesa cattolica. Questa enciclica, però, aprì le porte a criteri interpretativi che, fino quel momento, erano stati respinti ed erano stati anche motivo per squalificare grandi esegeti come il p. Lagrange, recentemente riabilitato.

Complessità dei vangeli.

Nel testo di Peyretti, mi dispiace dirlo, non sembra riconosciuta la complessità della formazione dei vangeli né la grande diversità di generi letterari contenuti nel Nuovo Testamento. Forse è questo il motivo per cui la questione che si pone, seria e giusta, si sviluppa poi in un ragionamento che conduce a una strada senza uscita. Il suo testo propone un prima distinzione tra lavoro di fantasia e racconto di testimonianza. Certo, i vangeli sono prima di tutto testimonianze, ma testimonianze della fede della generazione apostolica che mirano anche a generare la fede nei contemporanei non credenti. Queste testimonianze di fede sono inoltre interpretazioni della persona, delle parole, delle opere di Gesù di Nazaret, alla luce dell’esperienza pasquale. Senza questa ultima, decisiva esperienza, la storia del Nazareno sarebbe andata perduta.

Chi legge il vangelo, quindi, non può chiedere immediatamente al testo che cosa è accaduto; bisogna invece chiedere in primo luogo che cosa voleva dire l’evangelista con la sua testimonianza. Quest’ultimo certamente non pretendeva di fare lo storiografo, ma voleva prima di tutto rendere testimonianza della risurrezione di Gesù, della condizione messianica del profeta galileo e della sua morte salvifica: tre eventi storicamente incontrollabili. Gesù, però, è un personaggio storico che ha proclamato un insegnamento sublime, insegnamento che, mentre egli era ancora in vita e con loro, i discepoli non hanno capito correttamente. Gesù ha fatto miracoli: ne facevano anche i profeti (anche risuscitare morti) e i rabbini santi; non era per questo che i discepoli potevano credere che Gesù fosse veramente il Messia. Potevano pensarlo, supporlo, ma non erano disposti veramente a morire per questa possibilità. Lo dimostra la loro fuga dopo la scena dell’Orto degli ulivi. Si sono allontanati dal calvario. Con l’evento della pasqua, invece, tutto si è trasformato. I discepoli sono stati rassicurati dalle apparizioni del risorto e per la forza dello Spirito. Allora hanno capito il Maestro. Allora hanno predicato il vangelo di Gesù fino a dare la propria vita.

Testimonianze di fede.

Dietro il racconto dei miracoli, gli evangelisti insegnano, esprimono la teologia dell’evento. Per favore, non si confonda una interpretazione teologica con una «favola» teologica; non si confonda l’insegnamento di fede, profondo, basato su un nucleo storico reale con rivestimenti simili a una “pubblicità” bugiarda! La storicità dei vangeli non sta nei dettagli, sta nel nucleo delle parole e degli eventi di cui non è sempre facile precisare la realtà oggettiva, nel senso di chi pretenda un resoconto storico del tipo di una “cronaca”. Sono in realtà delle testimonianze di fede molto più vere quelle che si nascondono sotto la forma di dettagli storici. Dietro ogni dettaglio c’è un insegnamento che oltrepassa il valore che noi possiamo dare alle descrizioni di “fatti neutri”. Tutta la saggezza della lectio dei vangeli consiste in questa apertura e disponibilità del lettore a penetrare il fondo dei testi.

Gli ipsissima verba, come suggeriva il primo Joachim Jeremias, si sono convertiti in un secondo momento nella ipsissima vox Jesu, formula molto più sfumata. Gli ipsissima facta di Gesù sono più evidenti: nasce, vive lunghi anni a Nazaret, predica nella Galilea e nella Giudea, esprime critiche severe contro una religione formalista e prende posizione quasi violenta nel Tempio di Gerusalemme. Fu accusato, condannato e muore sulla croce. Inutile ipotizzare un cristianesimo di tipo gnostico. Nessuno può dubitare, poi, che Gesù fece opere straordinarie davanti ai suoi contemporanei, miracoli stupendi. Ma il popolo di Israele non fu così malevolo da rifiutare l’evidenza di un potere unico. I miracoli di Gesù nei vangeli sono raccontati spesso seguendo la traccia del ciclo di Elia e di Eliseo nel Primo Testamento. I giudei conoscevano i miracoli di Mosè e dei profeti e nessuno di questi personaggi pretese di avere la condizione di messia e di Figlio. Gesù richiedeva la fede in lui, non voleva una fede fondata sul suo potere di taumaturgo. Questa fede in lui non l’ha ottenuta fino a dopo pasqua, quando i discepoli hanno avuto l’esperienza che il Maestro viveva.

La sostanza della lettera dei vangeli è la testimonianza di fede dei discepoli. La nostra fede è “apostolica”, quella fede che i discepoli hanno avuto nei confronti del loro Maestro quando lo hanno visto risorto. Da questo punto di vista, la predicazione cristiana primitiva ha cercato di ricordare, di ricostruire il meglio possibile i dettagli di ciò che Gesù ha fatto e le parole che ha detto, ma la predicazione primitiva ha voluto soprattutto dare il significato degli eventi fondamentali – che certo non sono i miracoli –, significato che gli occhi umani non sono capaci di percepire. Come i discepoli stessi non sono stati capaci di percepire che la morte del loro Maestro sulla croce avesse il valore di una morte salvifica. Come non sono stati capaci di percepire il senso profondo dei miracoli di Gesù. Questo senso profondo è quello che vogliono trasmettere i vangeli, senso scoperto dai discepoli nell’esperienza di Cristo risorto.

Non allungo di più questo mio discorso che forse è andato per montes et colles. In queste righe c’è l’interesse suscitato dalla domanda di Peyretti, l’importanza che ha anche per me la storia, senza la quale non c’è cristianesimo. Vi prego anche di vedere in queste riflessioni disordinate la necessità di riconoscere che l’esegesi critica non vuole disturbare la fede e men che meno distruggerla, bensì vuole evitare di prendere come fondamento del credere eventi ritenuti come sicuri ma che certi non sono.

Pius-Ramon Tragan


 
[ Indice] [ Sommario] [ Archivio] [ Pagina principale ]