ECHI EVANGELICI
Amore ricco, amore povero

Nella tavola rotonda in Università, il 13 aprile, per ricordare l’attualità di Balducci e Turoldo, Wilma Occhipinti ha detto tra l’altro una cosa interessante: amare non è dare, ma chiedere. Turoldo chiedeva molto agli amici: leggimi questo e dammi un parere; ascoltami; accompagnami a Milano (lui non guidava); battimi questo a macchina; cercami questo dato, eccetera. Che amare sia chiedere più che dare ci torna strano, a prima vista, e contrario all’opposizione che ci hanno insegnato tra agape ed eros: il vero amore sarebbe quello che dona, che regala dalla propria sovrabbondanza; l’amore di richiesta sarebbe un amore inferiore, troppo umano. L’agape perfetta sarebbe in Dio, ricco di tutto, bisognoso di nulla; il nostro sarebbe amore di poveri, bisognosi, perciò soprattutto eros, desiderio, bisogno e richiesta, con qualcosa di impuro, e col rischio di farsi possesso e dominio.

Già Platone aveva visto che il desiderio, eros, è sì povertà, bisogno, ma non sarebbe desiderio se non avesse già una iniziale familiarità con ciò che cerca, e dunque è anche ricchezza: insieme ricchezza e povertà. Erich Fromm in L’arte di amare insiste che l’amore è attività, cura, dono. Certo. Ma quando lo leggevo, tanti anni fa, non mi convinceva del tutto. Sentivo che se l’amore non è anche domanda per il nostro bisogno, non è amore nostro. Hermann Hesse dice che amare è soprattutto vivere la propria vitalità ed espansione. Qui c’è un’illusione bella e buona.

Ma, tornando al pensiero cristiano, quella idea di Dio soltanto ricco non corrisponde bene a ciò che ne possiamo capire nella rivelazione di Cristo. Un rapporto fatto di puro dare esprime potenza, diseguaglianza, distanza, e non è ciò che sappiamo di Dio, tanto meno ciò che è possibile a noi. L’amore non sopporta alcuna superiorità. Dio si è fatto prossimo, vicino, uguale, pari, anzi sottomesso, servo umiliato. Si è fatto, oppure si è rivelato come tale, debole anziché onnipotente, come piacerebbe a noi figurarcelo, per farci risolvere i problemi? Abbiamo capito che per salvarci Dio ha preso su di sé il nostro peccato, la nostra morte, ogni sorte ingiusta, ma ha chiesto a noi poveri di essere aiutato nella sua povertà. «Non potete vegliare un’ora con me?», Gesù ha pregato invano i suoi poveri amici nella sua angoscia. Dio ha bisogno degli uomini, diceva un film di tanti anni fa, e certo non solo dei preti: ha bisogno di tutti. Etty Hillesum, la grande mistica dentro il più tremendo male del ’900, ha compreso che Dio vuole anche essere protetto da noi: «E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio», e lo dice senza alcuna illusione eroica. «Mio Dio, ... cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me. ... Tu non puoi aiutare noi, ma siamo noi a dover aiutare te, e così aiutiamo noi stessi» (Diario 1941-1943, Adelphi 1985, pp. 163, 164, 169). «Siamo stati marchiati dal dolore, per sempre. Eppure la vita è meravigliosamente buona nella sua inesplicabile profondità, Maria, ... se solo facciamo in modo che, malgrado tutto, Dio sia al sicuro nelle nostre mani» (Lettere 1942-1943, Adelphi 1990, p. 148).

Ogni amore è richiesta. Se preghiamo, nessuna paura di chiedere, pur rimettendoci a Dio che sa qual è il nostro bene; nessuna ambizione un po’ ridicola di fare una preghiera di sola lode. Solo la superbia del ricco s’illude di dare senza chiedere. Ma lui non avrà perdono e salvezza, perché crede di non averne bisogno. Lasciarsi aiutare, lasciarsi amare e curare, è forse più difficile che fare queste cose per gli altri, data la nostra stupida illusione di autosufficienza e la nostra superbia spirituale. C’è più gioia nel dare che nel ricevere, avrebbe detto Gesù, ma c’è più difficoltà nel ricevere che nel dare. Infatti, se riceviamo vogliamo subito sdebitarci, e se regaliamo ci sentiamo giusti, cioè superiori.

La tentazione della ricchezza.

Se l’altro, che è sempre un povero, ci chiede qualcosa, sarebbe bene che subito chiedessimo anche noi a lui qualcosa, non per pareggiare il conto, ma per salvarci dalla tentazione di crederci ricchi, e per restituire il dono che egli ci fa, rivelandogli la sua ricchezza di bisognoso. Se abbiamo paura di disturbare e scomodare, abbiamo capito ancora poco delle vere relazioni umane, e siamo schiavi delle convenzioni.

Naturalmente, tutto ciò può diventare una comoda teoria per nobilitare il disimpegno, se ci riduciamo a tutto attendere e prendere senza nulla dare. Anzi, se non diamo, pur nella nostra pochezza, senza attendere restituzione.

Quando l’amore povero, il bisogno di vita, trova un muro come risposta alla sua richiesta, allora, se non insiste a chiedere e a bussare, si chiude nella disperazione, non spera e non crede più nulla, perché non chiede più nulla, oppure si convince che per avere bisogna conquistare e dominare. In entrambi i casi, l’amore è soffocato. Ogni volta che non rispondo, posso uccidere un amore. Chiedere è stimare, non è togliere ma arricchire, è dare. È la richiesta che sviluppa le possibilità di dare, di rispondere. Se nessuno mi chiede nulla, io non ho nulla. Il bisognoso che ti chiede è colui che ti arricchisce. Perciò il povero è il tuo signore. Ogni richiesta, anche quella che ti sembra più bassa, è ricerca di Dio. Ogni risposta conduce a Dio.

Nell’amore, dare e chiedere si confondono, non li distingui più, non sai chi ha cominciato e chi ha continuato. Ricchezza e povertà sono la stessa cosa. Quando l’amore sarà perfetto, Dio sarà tutto in tutti.

Enrico Peyretti


 
[ Indice] [ Sommario] [ Archivio] [ Pagina principale ]