LE “FINZIONI” DELLA TEOLOGIA NARRATIVA |
Evangelisti come i fisici teorici |
Il titolo, volutamente provocatorio, vuole evidenziare come esistano delle analogie fra le teorie della fisica e le teologie narrative degli evangelisti. Questa tesi, a prima vista sorprendente e acrobatica, costituisce in un certo senso la prosecuzione del dibattito contenuto nell’inserto speciale su «Vangeli, miracoli, storicità» pubblicato all’interno del foglio 293. Fino a Newton compreso, si può dire che abbiamo grosso modo le stesse concezioni epistemologiche oggettivistiche e realistiche, sia nel campo delle scienze fisiche che in quello dell’indagine esegetica. Seguiamo il “kantiano” Einstein nella sua lucidissima analisi filosofica, tenendo ben presente che si tratta di fisica teorica, ossia che abbiamo a che fare con delle teorie grandi, ampie, astratte, come la gravitazione newtoniana o la teoria della relatività generale, come la teoria cinetica dei gas o la meccanica quantistica (non stiamo parlando del funzionamento di un cavo elettrico o di elettrodomestici, cioè del risvolto tecnico; e neppure di regolarità solo descrittive come quelle di Keplero). Antirealismo. Secondo Einstein, Newton, il primo creatore di un sistema esteso e possente di fisica teorica, credeva ancora che le idee e le leggi fondamentali del suo sistema derivassero dall’esperienza, che ne costituissero quindi una riproduzione fedele e speculare (come l’immagine in uno specchio), a mo’ di “fotocopia”. Non era forse così anche nell’esegesi biblica? I vangeli, come più in generale tutta la Bibbia, erano ritenuti delle biografie molto fedeli, un racconto quasi storicistico, real-veristico dell’intera vicenda di Gesù Cristo. Credo che allora non si parlasse nemmeno delle “teologie” dei singoli evangelisti: essi riproducono la storicità tout court, anche quando fanno discorsi molto teorici (come ad es. il Cristo giovanneo); se non sempre esplicitamente, almeno implicitamente è tutto comunque presente nella persona e nell’agire di Gesù. E anche le grandi idee, o temi, o dogmi (incarnazione, seconda persona della Trinità, figliolanza divina, discesa e ascesa al cielo, prescienza e onniscienza, onnipotenza, peccato originale... ecc.), anche se elaborati successivamente nei primi secoli cristiani, erano pensati come un grandioso compendio, una comprensione più approfondita, ampia, astratta e quindi definitiva, come una sublime ricapitolazione di quanto si dava senza dubbio nella Scrittura ed era quindi senza alcun problema presente in Gesù, il quale costituiva la traduzione/incarnazione esatta e speculare di tutto l’impianto teorico: tale impianto, come in Newton, è ricavato direttamente dall’esperienza storica (dal Gesù della storia). Einstein invece sosteneva che i principi, i concetti portanti della teoria, nonché le sue leggi, pur suggeriti in qualche modo dall’esperienza, sono una libera creazione del pensiero: questo significa il termine “antirealismo”. Orbene, analogamente, lo stesso tipo di svolta è avvenuto col metodo storico-critico sia nell’esegesi biblica sia nella teologia. Perché non dire allo stesso modo che anche i dogmi sono una creazione dello spirito umano, che rende conto della realtà divina e cerca di catturare conoscitivamente l’evento polivalente di Gesù in una determinata epoca storica e a quello stadio di sviluppo del pensiero (che è chiaramente realista e oggettivista)? Solo nel XX secolo è maturata l’idea che non è più possibile concepire la verità come qualcosa di asettico, etereo, a-storico, a-culturale e sovratemporale, ma che essa va inquadrata e incarnata in un determinato contesto storico e socio-culturale (ciò vale ovviamente anche e soprattutto per la fisica teorica). I grandi dogmi sono solo un modo, seppur autorevole ma anche storicamente condizionato, di “catturare” conoscitivamente Gesù; ce ne sono pure di più moderni, quindi più adatti alla nostra epoca, ma anche di più antichi: ad es. il Vangelo di Marco, che non è unificabile con i grandi enunciati dei concili, ma neppure con le teologie di Giovanni e Paolo. Non è così grave come potrebbe apparire a prima vista: anche la relatività e la teoria quantistica non sono unificabili, pur essendo utilizzate entrambe, anche se alternativamente; e spesso relativamente allo stesso oggetto (ad es. buchi neri o stelle di neutroni), l’una per gli aspetti macroscopici, l’altra per quelli microscopici. Non facciamo forse la stessa cosa con la lettura alternata dei vari testi del NT? Simbolismo isomorfo. Ma torniamo a Einstein filosofo: «La concezione che ho abbozzato sul carattere puramente “fittizio” dei principi della teoria guadagna terreno di giorno in giorno, ma non era affatto in auge nel XVIII e nel XIX secolo; infatti il prodigioso successo pratico della dottrina di Newton può aver impedito, a lui e ai suoi successori, di rendersi conto del carattere fittizio dei principi del suo sistema. In effetti solo con la relatività si è evidenziato che si poteva, con fondamenti molto lontani da quelli di Newton, essere d’accordo con tutti i fatti correlativi nel campo dell’esperienza: che si potevano presentare due principi essenzialmente differenti (con relative leggi e concetti diversi) che concordano in larga misura con l’esperienza» Per capire bene la differenza dei principi a cui Einstein si riferisce, ricordiamo che Newton pensa nei termini di una “attrazione” fra masse inversamente proporzionale al quadrato della distanza, o comunque di una forza che agisce istantaneamente a distanza. Invece per Einstein l’attrazione non esiste, e pensa nei termini di una geometria incurvata dello spazio-tempo: in parole povere, la pietra cade non perché la terra l’attira, ma perché segue i binari (le geodetiche) di tale curvatura variabile. Ma entrambe riescono a catturare la realtà di loro competenza. Se solo per un attimo (perché questa non è la nostra concezione della verità) intendiamo per “vero-veristico” una perfetta copia della realtà, non sono vere né la teoria di Newton né quella di Einstein, o meglio potrebbe esserlo solo una, e di conseguenza l’altra risulterebbe falsa. Invece sia l’attrazione newtoniana che lo spazio-tempo incurvato non sono una riproduzione speculare, real-veristica di una presunta realtà in sé, di un presunto “per davvero”. Analogamente, non è forse la stessa cosa con le teologie del NT? Come per Einstein l’attrazione non esiste (mentre esiste per Newton e per il senso comune), così certe categorie e paradigmi presenti nel quarto vangelo o in Paolo non ci sono nei sinottici, e tanto meno in Marco; ma tutte cercano a loro modo di catturare conoscitivamente Gesù Cristo. Se una dovesse essere considerata l’unica vera, le altre dovrebbero essere giudicate come molto deviate o quasi erronee. In conclusione le teorie scientifiche (anche in fisica, e quindi a maggior ragione nelle altre scienze) sono rappresentazioni simboliche, isomorfe alla realtà, ma non copie di essa o del mondo esterno. Hanno più a che fare con la pittura non realista. Se è così già in fisica, perché scandalizzarsi tanto se ciò avviene anche nell’esegesi e nella teologia? Possiamo quindi intendere la rappresentazione come una costruzione, fatta in un dato linguaggio – quello matematico per la fisica, quello teologico per i Vangeli – che presenta le relazioni e gli elementi di un determinato mondo (quello della fisica, o della vita e della fede). Si tratta di forgiare rappresentazioni e costruire simboli, per catturare conoscitivamente quello che ci circonda. Modelli finzionali. Le teorie hanno però bisogno di traduzioni particolareggiate, che vengono chiamate modelli o sottomodelli, i quali sono vere e proprie “finzioni” (nel senso della parola latina fictio), nell’ambito del “come se”. La fictio denota l’attività del costruire, formare, strutturare, elaborare, presentare, e così pure del rappresentare, pensare, immaginare, supporre, abbozzare, ideare, inventare. E naturalmente connota anche il prodotto di queste attività, cioè la supposizione finta, l’invenzione, la creazione ipotetica, il caso inventato (come la moneta d’argento per la tassa del tempio nella bocca del pesce, Mt 17,24-27). E la nota caratteristica più rilevante di tutte le finzioni è costituita dal momento della libera creatività. Di questi modelli finzionali in fisica teorica ce ne sono una caterva: dai modelli d’oggetto (finzioni come la massa o la carica puntiforme, la buca di potenziale, la distribuzione continua di carica) ai modelli fenomenologici (teoria cinetica dei gas), ai modelli di universo: ognuno di essi rappresenta una finzione di universo. Segnaliamo solo quello proposto da Schwarzchild nel 1916 dentro il quadro teorico della relatività generale. Il mondo ideale descritto da questa finzione è quanto di più diverso ci possa essere dal mondo che ci circonda: esso si finge costituito da un unico corpo non rotante a simmetria sferica posto in un universo altrimenti vuoto. Analogamente, i racconti dell’infanzia di Mt e Lc non sono forse finzioni unite insieme per formare una finzione più grande, onde salvare il fenomeno? Nella fattispecie il fenomeno più particolare dall’ascendenza contemporaneamente sia betlemita che nazarena del “messia”, e l’evento più generale della nascita di Gesù e della sua figliolanza divina. E anche Gv 11 è scritto “a tavolino”, coi sinottici davanti: l’autore ha collegato insieme la tradizione delle sorelle Marta e Maria, l’unzione di Betania, la guarigione-rianimazione di Lazzaro/Simone (il lebbroso?), e la tradizione su “Lazzaro ritornato dai morti”, inventandosi letteralmente la fratellanza di Lazzaro con Maria e Marta. Per mezzo delle rappresentazioni finzionali di un mondo-come-se gli scienziati collegano le teorie ai fatti empirici; analogamente attraverso le finzioni della strage degli innocenti, del camminare sulle acque, di Lazzaro che puzza da quattro giorni, gli evangelisti collegano il Gesù storico alla loro particolare teologia. Così come la morte dei primogeniti (decima piaga d’Egitto) è un modello finzionale con cui si traduce plasticamente la propria visione teologica della storia. È evidente che nella nostra prospettiva le teorie della fisica sono equiparate alle teologie Mauro Pedrazzoli |