Guerra & pace
Torino per la pace
Nella stessa giornata di sabato 5 ottobre, Torino ha visto due belle manifestazioni per la pace, 
contro la minaccia guerresca di Bush. In piazza San Carlo, il primo Appuntamento mondiale Giovani della Pace ha raccolto attorno al grandissimo palco migliaia di ragazzi di tante provenienze, entusiasmati e commossi dai testimoni e personalità invitate dal Sermig di Ernesto Olivero. Questo tipo di manifestazione fa perno sui sentimenti, non discute politicamente le cause: Olivero invita sempre tutti, di ogni parte politica, anche a rischio di venire utilizzato. C’erano anche Martinat e Armosino coi saluti di Berlusconi (fischiato), a nome del governo filo-guerra-di-Bush! Proprio tutto serve alla pace? Eppure, queste occasioni non sono inutili: appassionare i più giovani è la premessa per impegnarli nel lavoro successivo di analisi e di azione, che non può mancare, e che il Sermig cura oggi di più.

L’altra manifestazione, organizzata dal Torino Social Forum, contemporanea ad altre in decine e decine di città italiane, è stata il lungo corteo da piazza Arbarello a piazza Carlo Alberto. La voce più forte era quella della Sinistra Giovanile, che appare più decisa degli oscillanti Ds sulla scelta politica centrale che è la pace. Questo corteo è passato vicino a piazza San Carlo, senza interferire con la prima manifestazione, ma in esso erano venuti a sfilare anche molti gruppetti con le bandiere del Sermig, con le borse di tela e le magliette bianche con la scritta in tutte le lingue «Voglio la pace perché ho visto la guerra», oppure la frase a firma di Olivero «Voglio la pace non solo per me». Io portavo un tricolore con scritto sul bianco «Art. 11», molto fotografato. Il corteo si è concluso con la lettura di un chiarissimo documento di denuncia della guerra d’impero, e di impegno a costruire un mondo più giusto.

Dall’angolo della bella piazza, Nietzsche, non visto, occhieggiava dalla lapide sulla casa da lui abitata: chissà se continuava ad ammirare la forza dei potenti, disprezzando i deboli, o se vedeva albeggiare l’oltre-uomo nell’utopia della pace?

Domenica 6, nel contesto dell’Appuntamento Giovani della Pace, è stato presentato alla stampa il Comitato Promotore di una conferenza internazionale di pace “dal basso” per il Medio Oriente. L’iniziativa coraggiosa spera nel sostegno dell’Ue. Fanno parte del comitato gruppi religiosi buddhisti e musulmani, Sermig, Iscos, Centro Studi Sereno Regis, Cisl, Conedis, Gilda degli insegnanti. Info: 011-53.28.24.

Le dimostrazioni popolari contano. Bush ha calmato un pochino il suo accanimento dopo le grandi manifestazioni del popolo della pace Usa, del 5 e 6 ottobre. Coraggio! Il popolo può. 
 

BOLZANO
Meglio la guerra della pace
A Bolzano la giunta di centro-sinistra l’anno scorso cambiò il nome di Piazza della Vittoria in Piazza della Pace, per rispetto della popolazione di lingua tedesca. Le destre chiesero un referendum consultivo per ritornare al vecchio nome. Per sostenere questo voto è andato a fare un comizio a Bolzano anche Fini. Si è votato il 6 ottobre e ha vinto la Vittoria. Si tratta della vittoria del 1918, in cui, con una guerra di aggressione all’Austria, nostra alleata, l’Italia ottenne al tavolo della “pace” (quella “pace” punitiva di Versailles, che provocò il revanscismo tedesco, brodo di coltura del nazismo) il Sudtirolo, di popolazione austriaca e lingua tedesca. Vittoria in una guerra decisa contro il Parlamento e la volontà popolare; in una guerra evitabilissima: si poteva ottenere Trento e forse Trieste senza la guerra (il «parecchio» di Giolitti). Vittoria ingiusta e disastrosa: uno dei suoi frutti fu il fascismo. Gli italiani di destra, figli dell’italianizzazione del Sudtirolo-Alto Adige, operata dal fascismo, hanno fatto prevalere il ritorno al primo nome. In quella piazza un arco di trionfo inneggia alla civiltà latina superiore a quella germanica: Hinc ceteros excoluimos lingua legibus artibus. La vittoria divide, la pece unisce. La vittoria militare è guerra, la “pace” imposta dal vincitore è guerra, la maggioranza di Bolzano ha detto: meglio la guerra della pace. 
 
SUORE SALESIANE
Voto di nonviolenza
Lo hanno deciso e approvato le 200 suore, Figlie di Maria Ausiliatrice, meglio note come “salesiane”, riunite a Roma per il Capitolo generale. Hanno scritto una lettera aperta, tradotta in 25 lingue, alle 15mila consorelle del mondo e chiedono, quale gesto di pace, di fare voto di nonviolenza contro la guerra che si profila in Iraq e contro tutte le guerre.

«Nei giorni scorsi, mentre discutevamo in assemblea su come impegnarci concretamente per una vita secondo il Vangelo, è sorta la proposta che come religiose potessimo dare un segnale forte e immediato a favore della pace. Infatti, i conflitti presenti in tante parti del mondo e i più forti venti di guerra di questi giorni ci inducono a pensare e ad agire in modo alternativo. Non vogliamo fare soltanto dichiarazioni o appelli, che spesso cadono nel vuoto. Raccogliamo il grido delle madri che assistono impotenti alla morte dei loro figli e il grido dei bambini e dei giovani che non conoscono il volto della pace. Per rispondere a questo grido, facciamo nostro un gesto proposto dal movimento cattolico internazionale per la pace Pax Christi: esprimere con la vita il voto di nonviolenza.

Si tratta di un impegno personale. È una via da percorrere giorno dopo giorno, sulla quale i cristiani camminano da secoli nella memoria delle parole di Gesù: “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio”. Proponiamo – conclude la lettera – di coinvolgere in questa scelta di uno stato di nonviolenza anche tutte le donne, gli uomini, i giovani e le giovani delle nostre comunità educative. Pensiamo così di poter diventare, tutti insieme, come il sangue nuovo del mondo, una linfa di pace che può far rifiorire la vita».

È un voto che prevede alcuni impegni: «vivere la pace ed essere costruttore di pace nella vita quotidiana; accettare la sofferenza piuttosto che infliggerla; rifiutare di reagire alla provocazione e alla violenza; perseverare nella nonviolenza nelle parole e nei pensieri; vivere coscienziosamente e semplicemente, per non fare torto a nessuno; operare in modo nonviolento per sopprimere le cause di violenza, in me e nel mondo».

Il 4 ottobre, festa di San Francesco d’Assisi, operatore di pace, le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno vissuto in preghiera e digiuno per invocare il dono della pace.

Prendiamo esempio.
 

Firenze, diritti, profitti
A Firenze, nei primi giorni di novembre, si riunisce il Social Forum d’Europa. È cominciata, 
all’inizio di ottobre, nel Forum Antisociale del mondo e d’Italia la profezia negativa destinata ad autoadempiersi: Firenze deve blindare i monumenti, perché arrivano quelli che spaccano tutto. Si ripete la premeditazione di Genova?

Intanto Casarini (stupidamente) li aiuta promettendo di occupare le banche armate (quelle che finanziano gli armamenti). Non sa che tali banche temono molto più di una vetrina rotta il ritiro di un conto, di molti conti, come fa la campagna nonviolenta di boicottaggio, per la quale già diverse di esse si sono impegnate a cessare tali finanziamenti.

Sappiano, ministri e poliziotti, che se violenze ci saranno, saranno opera di chi combatte la socializzazione dei diritti, a favore della globalizzazione imperante dei profitti,e che se la polizia colpirà i nonviolenti, come a Genova, agirà illegalmente, da serva dei padroni violenti del mondo, contro i diritti (dei poliziotti stessi), per i profitti.
 

Palestina e nonviolenza
L’Intifada è stato un disastro assoluto, sotto tutti gli aspetti, afferma Abu Mazen, candidato dei riformatori alla successione ad Arafat. «È preferibile una rivolta popolare nonviolenta che esprima la volontà del popolo e non c’è dubbio che avremmo riscosso l’appoggio di una parte degli israeliani, avremmo mostrato al mondo che la giustizia è con noi». Gli appelli, anche nostri, ai palestinesi perché cessassero gli attacchi terroristici, non erano senza senso. 

Abu Mazen è criticato dagli estremisti, ma sono con lui Hanna Siniora, prossimo rappresentante dell’Anp a Washington, Samir al-Macharaui, responsabile di Al-Fatah nella strisica di Gaza, e Sari Nusseibeh, direttore dell’Orient House, promotore di un appello contro gli attentati suicidi, firmato da oltre mille personalità politiche e intellettuali palestinesi, che dice: «La pratica della nonviolenza e della disobbedienza civile è l’esatto contrario di una resa». I maggiori quotidiani israeliani hanno ripreso queste affermazioni, criticando le «forzature militari» di Sharon, che hanno scatenato le posizioni palestinesi violente (cfr «l’Unità» 2-10-02). Sappiamo che nelle dichiarazioni citate affiorano le scelte di qualificati gruppi palestinesi che lavorano contro il clima nefasto impostosi finora. Il futuro possibile è in questi semi di vita.
 

RI-PENSAMENTI
Vattimo, onestamente
«Solo gli dèi e i folli non cambiano mai idea». Mi pare che sia Aristotele a dirlo. Non essendo né un dio né un folle, Gianni Vattimo ha cambiato idea su un punto non da poco. Nel ’99 (non era ancora parlamentare europeo nei Ds) Vattimo sosteneva sulla «Stampa» che la guerra alla Serbia per il Kossovo doveva essere condotta fino in fondo, fino alla vittoria. In un dibattito pubblico che avemmo a Torino Incontra il 12 aprile di quell’anno, il dissenso tra noi due fu totale, radicale. Gli scrissi poi una lettera aperta, che pubblicai nel mio libro Per perdere la guerra (Beppe Grande editore, pp. 26-29). 

Oggi, davanti alla premeditazione bellicista di Bush contro l’Iraq e contro il mondo, Vattimo è decisamente contrario, e scrive: «Anche quelli di noi (tra cui il sottoscritto, per quel che può valere) che, allora [nel 1999], sostennero la necessità dell’intervento, oggi hanno il fiero sospetto di essersi sbagliati; e comunque non vedono alcuna analogia tra le due situazioni» («l’Unità», 2 ottobre). La differenza c’è, senza dubbio, ma qualche analogia noi la vediamo: le guerre per gli interessi Usa, sostanzialmente. Comunque, nella rarità di politici che si correggono, bisogna riconoscere, al di là della polemica, che Vattimo è uno che sa ripensare. In fondo, è solo il suo primo mestiere, di filosofo.


pagina a cura di Enrico Peyretti


 
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