ESCRIVÀ DE BALAGUER
La fiera dei santi

Si poteva pensare che con la beatificazione di Pio IX (settembre 2000) l’apparato vaticano avesse toccato il fondo. Dopo che è stato proposto come modello di virtù evangelica un ghigliottinatore, rapitore di bambini e soffocatore della libertà religiosa (ma pur sempre un papa), l’istituto stesso delle beatificazioni e canonizzazioni è stato svilito e azzerato.

Tuttavia, forse proprio perché ormai vanificata dall’inflazione, e anche grazie alla quasi totale indifferente silenziosa rassegnazione con cui il popolo dei fedeli accetta il fenomeno, la fabbricazione di santi e beati sembra riacquistare vigore, assumendo una nuova natura. Abbandonata la tradizionale parsimonia, assottigliati e annullati gli aspetti “processuali” (l’avvocato del diavolo è stato messo a riposo da tempo), ristretti al minimo i tempi di analisi, miracolosamente accertati i necessari miracoli, ora si propongono santi a cadenze periodiche sempre più ravvicinate. Nelle valige del pontefice in partenza per un viaggio i solerti collaboratori non dimenticano mai di inserire, per la gioia di chi riceverà la visita, il santo confezionato per l’occasione.

I giornali si soffermano con inevitabile ironia sulle cifre del fenomeno: numero di santi e beati proclamati da Giovanni Paolo II in rapporto a ogni papa precedente e a tutti i papi presi insieme – numero di anni intercorsi tra morte, beatificazione, canonizzazione – numero di persone presenti alle cerimonie (anche qui con confronti e classifiche sull’indice di gradimento).

Questo folklore mediatico nulla ha a che vedere con l’annuncio di Gesù, che si limitò a proclamare, da una piccola altura sopra il lago, un numero indefinito di beati anonimi tra coloro che avrebbero saputo far sorgere dalla loro coscienza miracoli di amore, di pace, di giustizia, e che altre coscienze avrebbero riconosciuto come beati. Occorre quindi sforzarsi di capire modi e ragioni di questa frenesia canonizzatrice. A noi pare di scorgervi la stessa ansia di conquista che spinge qualunque azienda a identificare, misurare, studiare le possibili aree di mercato, per poi proporre a ogni segmento il prodotto che sogna e si attende.

Tutti gli osservatori hanno sottolineato le nette caratteristiche sociali, politiche, culturali, etniche, che presentava la folla accorsa in San Pietro per Escrivà de Balaguer: borghesia medio-alta ispanica (Spagna e America Latina), cultura universitaria, giacca cravatta e abiti firmati, cuore e portafoglio a destra, contegno signorile. Qualcuno vi contrapponeva la fantasia contadina e gli stendardi variopinti dei seguaci di padre Pio.

La canonizzazione non sembra più occuparsi dell’individuo proposto alla venerazione, ma del gruppo che si identifica in quell’individuo e preme perché il riconoscimento avvenga e avvenga al più presto. Così si santifica Escrivà per santificare l’Opus Dei, e si dimenticano i severi giudizi del passato su padre Pio perché ora c’è una richiesta del mercato che va soddisfatta e porterà consenso. Questo criterio commerciale non si ferma neppure di fronte alle obiezioni più radicali: nel caso della recente canonizzazione di Juan Diego, il veggente indio di Guadalupe del XVI secolo, era in dubbio la stessa esistenza storica del personaggio, ma questo dettaglio fu facilmente superato, c’era un largo settore a cui andava offerto un santo, e santo fu. Incidentalmente, l’obiezione non era posta da qualche anticlericale guastafeste, ma dallo stesso ex abate di Guadalupe!

Non c’è da stupirsi che sia scomparso il processo e le procedure siano state accelerate. Una volta stabilito l’obiettivo, e determinata la pressione (in termini numerici e di potere) che spinge verso di esso, l’obiettivo va realizzato. La causa di beatificazione di Escrivà fu introdotta a sei anni dalla sua morte dal cardinale Palazzini (uomo dell’Opus Dei) con la consulenza di Echevarria Rodriguez, futuro prelato dell’Opera, attuale successore di Escrivà.

Ci sono troppe testimonianze sul modo con cui l’intero procedimento si è sviluppato, troppi potenziali testimoni sgraditi esclusi dalle audizioni, perché non appaia chiaro che l’intera operazione Escrivà è stata voluta e gestita dall’organizzazione da lui fondata, e che in tutta l’operazione abbiano contato solo gli interessi di potere dell’Opera.

L’Opus Dei nacque in Spagna nel 1928. Il fondatore Josemaria Escrivà de Balaguer fu ammiratore e sostenitore di Hitler e Franco. Ai governi franchisti l’Opus Dei fornì numerosi ministri. In tempi più recenti, Escrivà salutò con entusiasmo il golpe di Pinochet in Cile («questo sangue era necessario» sono le parole che gli vengono attribuite) e anche qui l’Opera provvide a circondare il dittatore di suoi fidati ministri. Oggi l’America Latina resta l’area di maggiore penetrazione dell’organizzazione. Come successore del vescovo Oscar Romero, assassinato dall’estrema destra in San Salvador, l’Opus Dei ha posto Fernando Saenz Lacalle, assistente religioso dei militari di quel paese.

Dell’Opus Dei si è parlato in innumerevoli situazioni di intreccio tra potere religioso e poteri finanziari, benché le responsabilità restino offuscate dal carattere di setta di questa organizzazione, in cui permane lo stile della segretezza (gli apologeti preferiscono parlare di riserbo) che le ha meritato appellativi come “Mafia bianca” e “Octopus Dei”. I metodi di reclutamento adottati dall’Opera hanno destato preoccupazioni, soprattutto nei paesi anglosassoni, più sensibili al rispetto della dignità individuale. Nel 1981 il cardinale inglese Hume pubblicò direttive per obbligare l’Opus Dei a desistere dalle sue pratiche di reclutamento segreto. Negli Stati Uniti esiste dal 1991 la Odan (Opus Dei Awareness Network), gruppo fondato dalla madre di una studentessa di Boston, Tammy Di Nicola, che visse l’esperienza del reclutamento nell’Opera e delle penose traversie per poterne uscire. Esperienze simili sono numerosissime, molte documentate da autobiografie. Tutto ciò dimostra per lo meno che Escrivà non fu persona al di sopra di ogni sospetto. Rimandiamo i nostri lettori alla consultazione del sito Odan (www.odan.org), ricco di testimonianze, riferimenti bibliografici alle vicende Opus Dei e collegamenti alle fonti dell’Opera stessa.

Ci resta però ancora una domanda. Che ci faceva, domenica 6 ottobre, Massimo D’Alema in mezzo ai cardinali opusdeisti in piazza San Pietro? Si era rifugiato là perché sicuro che in quell’ambiente nessuno gli avrebbe chiesto di dire qualcosa di sinistra?

Gianfranco Accattino


 
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