L'eretico e il suo papa |
Sono rimasti soli sulla faccia della terra. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle i saggi avevano fatto molti sforzi per fermare lo scontro di culture e salvare il mondo, ma inutilmente: la guerra, a lungo trattenuta, esplode e distrugge tutto. Solo l’imperizia di un artificiere fondamentalista, troppo ardente nella sua fede e nel suo slancio di combattente, rende imperfetta la distruzione dell’area su cui sorgeva una comunità di folli: due restano illesi, Martin Lutero e il suo papa Leone X. I loro nomi erano, in realtà, Stefano Rossi e Cesare Bianchi, ma entrambi se li erano da tempo dimenticati per la folle identificazione con i protagonisti della frattura della civiltà occidentale in età moderna. La follia, però non li mette al riparo dal disastro: subito lo avvertono e si sentono soli. È il papa che per primo si avvicina a Martin Lutero. Spaventato dalla singolare sopravvivenza, vuole confessarsi e liberare l’anima dai peccati: «Fra Martino, voglio confessarmi». «Non chiamarmi frate e non chiedermi di confessarti. Non sono più frate da tempo e non riconosco il sacramento della confessione», risponde Lutero. «Hai deposto l’abito da molto tempo ma tu es sacerdos in aeternum: il sacramento dell’ordine vale per sempre, anche se non lo riconosci più», dice il papa. «Io ho sostenuto la tesi del sacerdozio universale: ogni uomo è sacerdote di sé stesso e con Dio se la vede senza mediatori. Confessa direttamente a Dio i tuoi peccati. Non hai bisogno di me. Non sono prete e mi hai pure scomunicato», risponde brusco Lutero. «Non puoi negarmi il tuo aiuto. La mia coscienza non mi lascia in pace se non mi confesso e non mi consente di confessarmi da me. E tu sai che alla propria coscienza non ci si può sottrarre: a Worms, nel 1521, all’imperatore che ti ordinava di rinnegare le tue convinzioni hai risposto che non potevi andare contro la tua coscienza. È in nome di un tuo principio, che per secoli ha diviso i cattolici dai protestanti, che ti chiedo di aiutarmi e di tornare ad esercitare per me la grazia di un sacramento che non riconosci ma che hai ricevuto e che vale in eterno», insiste il papa. «Capisco il tormento dell’anima tua. Tante volte, da monaco, anch’io ho cercato sollievo alle mie pene nella confessione. Andrò contro le mie tesi e starò a sentire la confessione dei tuoi peccati», risponde infine ben disposto Lutero. Il papa s’inginocchia davanti a Lutero e gli confessa i suoi peccati. Lutero ascolta impassibile: conosce bene i peccati degli uomini, dei preti e dei papi. Ma quando la confessione sembra finita, il papa ha un sussulto: «C’è ancora un peccato, padre, che devo confessarti: è quello che mi pesa di più adesso, anche se prima non l’avevo quasi avvertito». «Dimmi, figliolo, io ti ascolto», lo incoraggia sorpreso Lutero. «Mi pento della bolla Exsurge Domine. Ho peccato come uomo che non ha avuto carità per te che vedevo in errore, ma ho soprattutto peccato come papa che ha concepito la chiesa come un patrimonio da difendere e non come comunità da tenere insieme e in pace». «Hai urlato a Dio di svegliarsi perché un cinghiale selvatico stava facendo irruzione nella sua vigna. Adesso mi ricordo, ma allora ero così abituato a questa gestione patrimoniale che quasi non ci feci caso», dice Lutero. «Adesso che tutto è distrutto e che siamo rimasti soli sento l’oppressione di quella colpa, chiedo perdono a Dio e imploro la tua assoluzione». «Ego te absolvo...», dice Lutero, «ma la tua confessione apre una voragine nell’anima mia: mi pento di non aver visto allora il tuo peccato e di non essermene liberato». «Adesso non ti capisco proprio, Martino». «Abbiamo vissuto il nostro servizio alla verità con tanto ardore da rovesciarlo in possesso e ci siamo impadroniti di Dio», dice Lutero. «Hai ragione e la tua America l’ha addirittura inchiodato al suo dollaro». «Adesso non riprendiamo a farci la guerra». «Figurati se voglio polemizzare con te proprio adesso che mi hai liberato dal peso dei miei peccati. Vedo però con chiarezza che, nel momento in cui l’Occidente si apriva alla scoperta del mondo, noi abbiamo chiuso i cuori dei nostri popoli», dice il papa. «E la scoperta del mondo si è ridotta a conquista», aggiunge Lutero. «Bravo fra Martino». Dice con calore il papa. «Non ricominciare: non sono frate né sacerdote». «Non voglio ricominciare, amico mio. Ma lo sai che non mi sento più tanto papa». «Neanch’io mi sento più Lutero. Adesso mi sembra di ricordare di essere stato un altro, un attore di nome Stefano Rossi». «E io credo di essere Cesare Bianchi, attore. Abbiamo imparato cosi bene la nostra parte che ci siamo finiti dentro». «È vero, Cesare. Per paura di perdere le parole della nostra parte ci siamo persi in esse». Giuseppe Bailone |