SCRITTURA E PAROLA: PROFETI / 1
Profeta, chi è costui?

«Profetizzano: “Non profetizzate! O almeno non profetizzate cose come questa: ‘È un tale obbrobrio il vostro che non potrà mai essere dimenticato!’”» (Mi 2, 6). Così Michea sintetizza le reprimende dei profeti che i potenti di Israele cercano di contrapporre alle sue denunce.

Non è una situazione nuova. Prima di lui l’hanno vissuta Osea, accusato di essere «un pazzo che vaneggia» (9, 7) e Amos, cacciato dal sacerdote del santuario di Bethel perchè «congiura contro i regnanti e il paese non può più sopportare la sua parola» (7,10-12). Ma è con Michea che la questione diventa, per la prima volta, esplicita in tutti i suoi elementi, preparando la strada allo scontro mortale di Geremia col potere e coi suoi portavoce e alla teorizzazione di Ezechiele sul ruolo dei veri e dei falsi profeti (Ger 20; 23, 9-40; 26; 28; 36-38; Ez 3,16-21; 13).

Michea, come Amos, Osea, Isaia, Geremia, Ezechiele e altri, va dicendo: «Guai a coloro che meditano l’iniquità e tramano delitti nei loro letti per realizzarli appena viene il giorno, solo perché detengono il potere. Sono avidi di campi e li usurpano, di case e se le prendono. Così opprimono l’uomo e il Signore medita contro di loro una sciagura che li costringerà a piegare il collo» (2,1-3).

Ecco le denunce che inducono chi comanda a tacitarlo, contrapponendogli la voce di altri profeti: «Questi sono attacchi e accuse che non si possono e non si debbono fare. Dio non è forse uno di larghe vedute? Quando mai agisce come dici tu? Le sue parole sono sempre a favore di chi cammina come noi sulla retta via» (2,7).

Profeti di regime contro profeta di Dio, e in gioco è la buona coscienza dei ricchi e dei potenti e la tranquillità del loro dominio da ogni minaccia di sovversione.

Dicono i signori del mondo: «Dio non è forse dalla nostra parte? Come ci potrà colpire qualche sventura?» (3,11), e intanto disprezzano la giustizia e rendono storto tutto ciò che è diritto, costruiscono la città sulla violenza e sul sopruso (3,9-10). Esigono balzelli da chi non ha di che vivere, pongono tasse di guerra sugli inermi, tolgono a donne e bambini ciò che spetta loro del bene comune (2,8-9). Il principe pretende di aver sempre ragione, il giudice si lascia comprare, il grande esercita la sua cupidigia su ogni cosa. Così tutta la società viene corrotta (7,3): «I capi decidono in vista di guadagni, i sacerdoti insegnano per lucro, i profeti danno oracoli per denaro» (3,11).

Parola del denaro e Parola di Dio.

Michea pone dunque il problema della profezia e del discernimento della sua autenticità o inautenticità, della sua capacità di tener sveglia l’anima del popolo o di addormentarla con nenie soporifere, all’interno di un preciso orizzonte storico e sociale.

«Se uno che insegue il vento e spaccia menzogne dicesse: “Ti profetizzo in virtù del vino o di bevanda inebriante”, costui sarebbe un buon profeta per questo popolo» (2,11): un profeta che annuncia pace a chi gli mette qualcosa tra i denti e guerra a chi lo lascia digiuno,un profeta che avrà notte in luogo di visioni, tenebra invece di responsi (3,5-7). Si tratta infatti di un falso profeta che non si pone in relazione con Dio, mentre il vero profeta «è pieno di forza, di giustizia e di coraggio» (3,5), che gli derivano dalla coscienza della perenne attualità dell’azione liberatrice del Signore: «Ascoltate o monti il processo del Signore contro il suo popolo ... In cosa ti ho stancato? ... Forse perché ti ho fatto uscire dall’Egitto, ti ho riscattato dalla schiavitù e ho mandato davanti a te: Mosè, Aronne e Miriam? ... Con che cosa ti presenterai a me? Con sacrifici di montoni a migliaia e torrenti d’olio? ... Uomo, ti è stato insegnato ciò che il Signore richiede da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio» (6, 4-7).

Il profeta non è un eremita e neppure un mistico, anche se spesso viene emarginato e a volte coglie ed esprime il suo messaggio per mezzo di visioni. Il profeta non è un politico e neppure un sacerdote, anche se sempre il suo discorso ha valenza politica e religiosa. Il profeta non è un sapiente e neppure un professionista della profezia (Am 7,14-15), anche se volentieri attinge ai frutti della sapienza del suo tempo, arricchendola, e se può accadergli che la profezia coinvolga e sconvolga tutta la sua vita (Geremia ed Ezechiele).

Il profeta è una «sentinella posta a guardia della città» (Ez 3,16 e ss.). Egli ha il compito e la capacità di coglierne lo stato di salute sociale e spirituale, intellettuale e morale e di indicarne gli esiti, così che chi può provveda. Non giudica in base ad ubbìe personali, a pronostici magici, a ubriacature estetiche ed estatiche, ai suoi desideri soggettivi e alle oggettive ambizioni di questo o di quel potente, ma a partire dalla Parola di Dio, vale a dire da un forte e accorato richiamo ai fondamenti del vivere, del pensare e dell’agire umano, reinterpretati e rianimati da quell’esperienza di liberazione e di alleanza che trasforma una massa di schiavi in una libera società di uomini.

Il profeta è la voce libera, scevra da ambizioni di visibilità, di consensi, di prestigio sociale ed economico, la voce liberata e liberante, arrischiata e arrischiante, di quell’intelligenza critica, di quella passionalità smisurata, di quella socialità inesausta che sostengono l’uomo e la sua storia, ma dall’uomo solo non derivano, perché sono già in lui come una vocazione e un’evocazione.

«Voce che grida: / Attenti alle vostre strade, / preparatele, / sono la via del Signore».

Aldo Bodrato

Avviso al lettore – Le citazioni scritturistiche di questo articolo e di quelli che lo seguiranno in questa rubrica non riproducono alla lettera il testo di questa o quella traduzione, ma ne sono una rilettura interpretante. Chi vorrà confrontarle con le pagine della propria Bibbia potrà rendersi conto se lo “spirito” dei versetti è stato rispettato e se anche la “lettera”, il cui fine non è fissare la Parola nell’immobilità ma renderla ognora parlante, è stata valorizzata o fraintesa.


 
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