La violenza non uccide solo le vittime |
«Stamp Paid, un uomo di colore del Sud degli Stati Uniti della metà del XIX secolo, nota qualcosa di rosso attaccato al fondo della sua barca mentre la sta trascinando lungo la riva di un fiume». Era un periodo molto difficile per la gente di colore in un secolo che era stato particolarmente duro: intere città erano state ripulite dai neri; alcuni ragazzini di colore erano stati bruciati; adulti frustati; donne nere violentate, proprietà rubate colli rotti. «Quando vide la cosa rossa attaccata alla sua barca, Stamp Paid pensò che si trattasse di una piuma. Sporgendosi per raccoglierla diede uno strattone e ciò che si trovò in mano fu un nastro rosso annodato intorno a una ciocca di capelli lanosi bagnati, ancora attaccata a un piccolo pezzo di scalpo. Slegò il nastro e lo mise in tasca, gettò la ciocca tra le erbacce. Tornando a casa si fermò con il fiato corto e un senso di vertigini. Aspettò che quel momento passasse prima di riavviarsi verso casa. Un momento dopo il fiato gli mancò di nuovo. Questa volta si sedette su di uno steccato. Riposato si rimise in piedi, ma prima di ricominciare a camminare si voltò indietro, verso la strada che stava percorrendo e disse, al fango ghiacciato e al fiume che scorreva oltre: “Che cosa sono queste persone? Dimmelo Gesù. Che cosa sono?”» (David E. Stannard, Olocausto americano, Bollati Boringhieri; p. 11). È un domanda che mi pongo anch’io ormai da troppo tempo. Lo sterminio nel teatro russo con l’utilizzo di un’arma chimica assurda e vile eseguito da un governo riconosciuto, i fatti di cronaca ricorrenti che nulla hanno da invidiare in termini di scelleratezza e disumanità, rinnovano un interrogativo che non trova ancora risposte, se non quella altrettanto assurda che siano individui non umani con un Dna diverso dal mio. Mi consolo pensando che in giro ci siano persone come Gino Strada e tutti coloro che appartengono al mondo della solidarietà internazionale, che di rado pronunciano risposte ma mi aiutano a non fermarmi al solo sdegno e a non cercare rassicurazioni dai media tenuti al guinzaglio, e ad ascoltare i racconti di chi è impegnato in prima linea. Gino strada così descrive quegli uomini: «orgogliosi della guerra, nostalgici della prima linea, non li sfiora neppure il dubbio che la guerra sia la più grande vergogna della specie umana, una specie talmente poco sviluppata da non riuscire ancora a trovare, dopo millenni di storia, un modo per risolvere i propri problemi che non sia l’autodistruzione. Una specie violenta che benedice la violenza individuale e di stato, che pratica la violenza come deterrente psicologico, che gode del proprio essere violenta. Una specie capace di dare dignità di pensiero a bestialità quali “alla violenza si risponde con altra violenza”» (G. Strada, Buskashì, Feltrinelli). La violenza non uccide solo le vittime, ma stronca la passione vitale negli spettatori, diventa vergogna e colpa di chi sa, non solo di chi fa e vede. C’è una solidarietà inevitabile anche nel male. È necessario sapere come fare per non disperare, che sarebbe complicità, assoggettamento. Eleonora Bonavoglia |