UN CONVEGNO SULL’AMBIENTE A TORINO
Voglia di cambiar aria
Dire qualcosa di nuovo sull’inquinamento dell’aria è ormai difficile. Cerchiamo di farlo come riflessione su quanto detto al convegno che si è svolto a Torino il 25-26 ottobre: «Aria pulita: città e cittadini insieme per migliorare la qualità dell’aria a Torino» (programma e interventi si posono trovare all’indirizzo:
www.comune.torino.it /ambiente/ariapulita/atti-convegno.html). 
Lasciamo alla cronaca i nomi degli intervenuti e la sintesi delle loro relazioni. A noi interessa comunicare alcune nostre considerazioni.

I tecnici sostengono, dati alla mano, che c’è, in una certa misura ma costante, un miglioramento della qualità dell’aria in ambiente urbano. I miglioramenti tecnologici nella costruzione dei veicoli e nella produzione dei carburanti, imposti da una legislazione sempre più restrittiva in fatto di emissioni, hanno portato l’aria che respiriamo nelle nostre città a un miglioramento significativo rispetto al passato. Nonostante l’incremento del numero dei veicoli viaggianti. Hanno ragione.

Gli epidemiologi, sulla base di lunghe indagini (il rapporto causa-effetto non è sempre, e non si sa se per fortuna, così immediato e dimostrabile), dichiarano che la vita media, che si è notevolmente allungata nonostante la nostra cultura suicida, si accorcerebbe di un qualche unità per cento (difficile da quantificare) per effetto dell’inquinamento dell’aria. Hanno ragione.

Gli igienisti fanno presente che se anche questo dato fosse certo, il rischio di morte per inquinamento da traffico resterebbe comunque decisamente inferiore alle morti dovute a incidenti in ambiente domestico. Hanno ragione.

Gli ambientalisti ricordano che è indispensabile, per chi ritenga il diritto alla salute prioritario rispetto a qualsiasi altro diritto, ivi compreso quello economico (diverse sentenze della Corte Costituzionale si sono espresse in tal senso), ricercare il grado di rischio più basso possibile in una civiltà associativa soprattutto ad alta tecnologia. Hanno ragione.

Le poche voci profetiche giustamente ci ricordano che esiste un limite delle risorse energetiche. E sarà proprio il loro esaurimento a metterci di fronte a una tragica realtà. Ci ricordano poi anche il pesante impatto, a lungo termine, delle emissioni sul clima. Hanno ragione.

Allora se tutti hanno ragione e la situazione è quella che è, quali sono le cause della “invivibilità” del territorio urbano di cui tutti si sentono in dovere di parlare? Rispondiamo senza prendere in considerazione i due ultimi aspetti che meritano una valutazione a parte più approfondita. A nostro giudizio questa “invivibilità” è legata al consumo di “spazio” per contenere e far transitare tutti i veicoli.

È per lo meno singolare che non ci si ponga con maggiore attenzione il problema dell’inquinamento fisico, inteso come capacità di contenere un certo numero di vetture circolanti in uno spazio geometricamente definito. In alcune realtà si sta per raggiungere il rapporto 1 a 1 tra numero di mezzi e numero di abitanti. E lo spazio è quello che è e non può, per incomprimibilità dei corpi, essere riempito più di tanto. La nostra osservazione è persino banale. Eppure di questo dato si parla poco. Troppo poco.

Unica soluzione, a nostro giudizio, non può che essere l’utilizzo del mezzo di trasporto collettivo (che non vuole dire necessariamente pubblico) a svantaggio, o contenimento, di quello individuale (che non vuole dire necessariamente privato).

Se è vero quanto prima abbiamo affermato, stupisce l’ostinazione dell’industria tutta indirizzata a riproporre il settore auto come la soluzione all’attuale nostro momento di crisi. La contrazione del mercato dell’auto, che non è solo un fenomeno italiano, ma di tutte le nazioni occidentali, non sta, probabilmente, nel costruire nuovi modelli, ma nel fatto che il prodotto ha saturato il mercato. Non siamo esperti in economia aziendale. Ma ci pare di poter dire che l’incrementare la produzione delle vetture non può essere fatto all’infinito. A meno che non si pensi di poter dotare di più vetture ogni abitante della terra (per ora della nostra nazione).

Ogni attività umana comporti un degrado ambientale. Il punto è stabilire il limite di compromissione che si intende accettare. Di certo si deve privilegiare la «qualità della vita», ma è proprio questa «qualità» che dovrebbe essere definita, o meglio, costantemente ri-definita, poiché vivere è un processo in divenire. Il non farlo ci costringe a vivere in una realtà dove tutti hanno ragione. Anche perché parlano partendo dai loro presupposti. Che – può sembrare rivoluzionario affermarlo in un mondo di certezze – non sono necessariamente quelli degli altri.

Mino Rosso


 
[ Indice] [ Sommario] [ Archivio] [ Pagina principale ]