SCOPERTE |
Non sono un genio, ma ho già fatto la terza elementare! |
Quale grado di istruzione è necessario per aprire gli occhi sul mondo? Quante lauree? Quante lingue bisogna conoscere? Quante migliaia di libri occorre avere studiato? A quanti convegni è utile aver partecipato? Certamente può essere di aiuto possedere un elevato grado di cultura; ma è ancora più importante sfruttare fino in fondo le pur modeste nozioni impartiteci quando eravamo bambini. Consideriamo per esempio a quali scoperte possiamo arrivare basandoci solo sul leggero carico culturale della terza elementare. 1) In terza (ma forse anche in prima!) sapevo che mille, diecimila, centomila, erano i numeri grandi, mentre cinque o dieci «si contavano sulle dita di una mano». Dunque se ora leggo che in Italia le vittime del fumo sono in un anno circa settantamila, mentre le vittime dei cosiddetti serial killer sono cinque o dieci, applicando le nozioni delle elementari mi preoccupo più dei tabaccai che di qualche fantomatico o rarissimo potenziale pazzo assassino. Ho tuttavia l’impressione che molti professoroni debbano essere bocciati in terza elementare. 2) Avevo imparato (sul vecchio pallottoliere) che non c’è differenza se dispongo cinque palline colorate staccate l’una dall’altra oppure le metto tutte e cinque unite. È anche eguale scrivere «5», oppure «1+1+1+1+1». Eppure se per un incidente di qualsiasi tipo, oppure per una catastrofe, si conta un certo numero di vittime, questo ha un grande valore in quanto le vittime sono concentrate nel tempo e nello spazio; la notizia è clamorosa, l’impatto emotivo è sconvolgente, roventi le polemiche. Nulla di tutto ciò se le vittime (anche in numero maggiore) cadono alla spicciolata, una per una. Al massimo meritano un trafiletto sul giornale locale. A moltissimi professoroni farebbe bene un po’ di esercizio al pallottoliere. 3) Quando avevo sette o otto anni, ho imparato che c’erano delle regole e delle eccezioni. Non si diceva «uovi» ma «uova» e l’unica parola con la doppia q era «soqquadro». Eppure, ancora oggi, il comportamento di moltissimi (anche dei professoroni) è guidato dalle eccezioni, non dalle regole, da quello che ha una probabilità su centomila di accadere, non da quello che costituisce il rischio quotidiano. Quanti cercano di prevenire sul serio le malattie causate dal consumismo? Quanti sono disposti a pagare più tasse per trasformare la città in un ambiente sano, a misura d’uomo? Quanti invece hanno paura di consumare meno, di essere spremuti dal fisco, di essere rapinati, stuprati, sbudellati dagli extracomunitari o dai terroristi? A molti intellettuali dovrebbe essere prescritto di scrivere conto volte «l’eccezione non è la regola». 4) Nel 1944 ho cominciato a studiare geografia. Sentivo che ogni tanto la maestra (una nubile, coi capelli platinati), sfogliando il giornale, brontolava: «quante bugie!». Poi ho capito perché. Se gli Alleati erano prima a Napoli, poi a Roma, poi a Firenze, voleva dire che stavano conquistando l’Italia, anche se i titoli dei giornali pretendevano di illuderci. Anche ora se getto uno sguardo sul mappamondo, vedo che il nostro mondo occidentale è solo una provincia del grande mondo. Quanti sapientoni si illudono ancora di essere al centro del mondo? 5) Ho davanti a me una pagina del mio libro di terza. Così sta scritto: «I quarantacinque milioni di Italiani formano ora un solo popolo – laborioso, risparmiatore, disciplinato – il quale, sotto la guida del Duce – Benito Mussolini – marcia compatto verso il suo sicuro avvenire di gloria e di potenza». Questo nel 1944. Ma, di fianco c’è un piccolo segnale di saggezza. Con la mia calligrafia è scritto un «No», probabilmente suggerito dalla maestra. Quanti saggisti, opinionisti, tuttologi, hanno il coraggio di dire «No» ai dogmi del pensiero unico? 6) Ricordo con vergogna un mio segno di grave immaturità. Ad Airasca, dove ero sfollato, in conseguenza dell’uccisione di un fascista, circolava la voce che i tedeschi avessero posto il paese davanti al seguente drammatico dilemma: o bruciare tutte le case o impiccare dieci abitanti. Confesso che, nella mia infantile innocenza (?!) non nutrivo dubbi: meglio dieci impiccati! Probabilmente pensavo: è difficile che impicchino me. Ma se bruciano tutto il paese, anche la nostra casa subirà la stessa sorte. Come si vede applicavo il principio dei numeri e della probabilità; ma non mi avevano ancora insegnato ad usare correttamente il principio della qualità, del valore. Ora che per fortuna non sono più innocente, provo orrore per quella mia «scelta». La vita umana vale più delle cose, anche delle case! Ma constato con sgomento che milioni di italiani temono la multe, gli “abusi” degli autovelox e le leggi antifumo, temono di perdere non la casa ma quattro soldi e non temono di uccidere e di essere uccisi, non temono di ridurre se stessi e gli altri a larve umane. Ed allora dico con infinita indignazione: «dovrebbero tornare non in terza elementare ma in una scuola materna!». Dario Oitana |