UN CONVEGNO SUGLI «IRREGOLARI» |
Separati da chi? |
Sicuramente era intrigante il titolo del convegno organizzato dalla Diocesi di Torino e dall’Associazione «Spazio Genitori»: troppo spesso le persone separate vengono più o meno esplicitamente messe ai margini delle nostre comunità cristiane. Si potrebbe riflettere molto sul perché questo accade: mentre su altri argomenti la posizione etica della chiesa è spesso ignorata dagli stessi fedeli verso una direzione di maggiore tolleranza, in questa materia un’indicazione etica tutto sommato accogliente si traduce spesso, nella realtà, in una durezza esagerata verso chi già soffre per il fallimento del matrimonio. Così mi sono iscritto al convegno, insieme a mia moglie: già, siamo una coppia “regolare”, mentre per i separati risposati si parla di “irregolari”, e questo la dice lunga su come le comunità cristiane si rapportano con loro. È stata una giornata densa di contenuti, e di emozioni. Si poteva certamente toccare con mano il grande dolore che accompagna le persone che hanno vissuto il crollo delle proprie certezze affettive, e che nell’insegnamento della chiesa vedono un ulteriore motivo di sofferenza. Insegnamento che è stato illustrato dal teologo don Paolo Mirabella, in un intervento estremamente chiaro: la grazia di Dio passa certamente attraverso i sacramenti ma non solo, e le persone separate e risposate sono a pieno titolo membri della comunità cristiana. A dire il vero, l’intervento appariva in certi momenti come un sottile muoversi sul filo della legalità: come spiegare diversamente una posizione etica piena di distinguo e di piccole schizofrenie sulla centralità dei sacramenti nella vita del cristiano? Posizione etica che culmina in una considerazione che lascia quantomeno perplessi: i separati risposati possono riaccostarsi ai sacramenti qualora decidano di vivere nella castità. Questo equivale a dire che per la chiesa la vera completezza del matrimonio non è legata tanto alla relazione di amore fra un uomo e una donna, quanto al loro avere rapporti sessuali? E se una coppia “regolare” per i motivi più diversi (età, malattia, ecc.) non può più avere rapporti sessuali il matrimonio è “monco”? E si può considerare tutta l’intensa vita di relazione profonda, di vicinanza affettiva e spirituale che una coppia di divorziati risposati credenti possono avere come priva di significato? Ho purtroppo avuto la sensazione che l’insegnamento morale presentato sia parte di una teologia che non aiuta l’uomo ad avvicinarsi a Dio, ma al contrario costituisce una barriera insormontabile nella vita spirituale, creando conflitti interiori enormi nelle persone, come se fosse possibile ricondurre l’esperienza della fede ad una serie di prescrizioni legali da rispettare. Eppure, ricordava il sociologo Redigolo nel suo intervento, le separazioni sono in continuo aumento: sono state 70.000 nell’anno 2000, che vuol dire 140.000 persone che hanno vissuto la rottura del matrimonio. Rottura che, veniva sottolineato, non è mai priva di sofferenza, né in chi “viene lasciato”, né in chi “lascia” il partner. E purtroppo la tendenza è verso l’aumento, dal momento che la famiglia non è più la «cellula della società», ma il vero centro della società è ormai solo l’individuo singolo. Tra l’altro, Redigolo provocava l’assemblea con una questione interessante: «la famiglia di Nazaret era una famiglia regolare o irregolare?». Non farei però un buon servizio ai lettori se accanto ai problemi non sottolineassi con uguale forza i grandi segni di speranza che nella giornata si sono manifestati. Anzitutto, l’importante decisione dell’Ufficio Pastorale della Famiglia di cominciare, finalmente, ad affrontare seriamente la questione pastorale dei separati; la diffusione sempre maggiore di gruppi di preghiera con una forte presenza di persone separate; l’offerta di diverse possibilità di aiuto per chi si è separato; l’invito venuto da più parti (per primo dall’Arcivescovo) a non limitare la questione delle coppie separate nella chiesa al solo accesso ai sacramenti. E poi il clima della giornata, con un ricco lavoro a gruppi dove coppie sposate, coppie risposate, separati, religiose e preti si sono confrontati in un clima di grande fraternità e affetto reciproco, rifiutando una visione legalista della fede, ben consapevoli del fatto che la salvezza portata dal Cristo non dipende certo dal numero di sacramenti ricevuti nella vita. Infine, quello che secondo me è stato il più grande segno di speranza della giornata: il fatto stesso che il convegno abbia avuto luogo. Pare una considerazione banale, ma proprio questo convegno segna secondo me un importante confine temporale: da oggi, la chiesa torinese non potrà più lasciare ai suoi margini le coppie divorziate e risposate, ma si è impegnata a cercare percorsi concreti di incontro con Cristo anche per loro. Credo non sia una cosa da poco: si è «tolto il coperchio a un pentolone», non sarà certo facile rimetterlo. Mi piace concludere nello stesso modo usato da Redigolo per rispondere alla domanda che era il tema del convegno: separati da chi? Non lo so, ma da me no. Paolo Fornetti |