ISPEZIONI ONU ALL’IRAQ |
Una nuova Rambouillet? |
La risoluzione Onu 1441 al n. 5 suona così: «Il Consiglio di Sicurezza (...) decide che l’Iraq fornirà (...) accesso senza ostacoli, senza restrizioni e privato a tutti i funzionari e altre persone che l’Unmovic o l’Iaea desiderino intervistare nella maniera o nella sede scelta dall’Unmovic o l’Iaea conformemente a qualunque aspetto dei loro mandati; decide inoltre che l’Unmovic e l’Iaea possono a loro discrezione condurre interviste dentro o fuori l’Iraq, possono facilitare il viaggio degli intervistati e di loro familiari fuori dall’Iraq». In pratica, è possibile agli ispettori che lo vogliano, invitare oppositori e spie irakene (garantendo un lavoro-premio negli Usa?) a diventare testimoni e prove per fare – finalmente! – la guerra. A me resta ancora l’impressione che questo punto, come altri, come il tono ultimativo generale (ogni ultimatum è già un atto di guerra, disse Bobbio negli anni ’90) ripetano lo stratagemma di Rambouillet (la trattativa di pace fatta per fare la guerra): porre condizioni ora accettate da Saddam (a differenza di Milosevic), ma di difficilissimo e umiliante adempimento al momento in cui entrino in funzione, per avere il sospirato casus belli. Sarebbe la più antica delle astuzie statal-belliche. La determinazione bellica insistentemente manifestata e dichiarata da Bush costringe a pensarlo. Quando si pensa solo la guerra, la soluzione pacifica e’ impossibile. Gli stati, come dice Galtung, sono più stupidi e malvagi delle persone comuni, perché più di queste pensano e preparano la guerra e non la pace. C’è chi ha calcolato che, fatta uguale a 1 la massa di risorse di ogni genere destinate dagli stati alla pace, quelle destinate alla guerra sono tra 1.000 e 10.000. Se io compero solo patate, non posso dire che per cena non è possibile cucinare uova. Queste cose vanno denunciate subito, anche se non servisse a nulla oggi. Servirà un domani. Prima di venire tutti radunati nella valle di Giosafat. Nelle ultime recenti manifestazioni ho portato appeso sul petto un cartello così concepito: «Saddam dittatore dell’Iraq. Bush dittatore del mondo. Nonviolenza = giustizia = pace». Altre volte porto la bandiera iridata della pace, oppure il tricolore italiano: sul bianco, con nastro telato blu, ho scritto «Art. 11 Costituzione». È il nostro vero stemma, molto più glorioso della croce di Savoia. Mi sono fatto questo motto, che propongo, per essere coscienti della tragedia e per non soccombere: «Disperati, non disperiamo». Non disperare vuol dire sperare, e sperare vuol dire parlare e agire, costruire. E.P. |