MEMORIA
Giorgio Gaber

Difficile parlare di un personaggio quando muore. I “coccodrilli” si sprecano. Eppure per Giorgio Gaber ci sentiamo in dovere di dire almeno qualche parola che, lo sappiamo, è già stata detta ma forse solo marginalmente. 

Giorgio Gaber non è mai stato un artista applaudito dalla folla. È stato un artista più noto per il suo nome che non per quanto abbia detto. La gente applaude sempre ciò che va di moda. Per questo, negli anni ’80, il Signor G era seguito da quell’interesse della middle-class che rappresentava, e rappresenta, l’“acculturazione” da noi, in Italia. Resta da interrogarsi su quanti hanno colto il suo dubbio sistematico sulla nostra società.

La sinistra prima e la destra poi hanno cercato di renderlo propria “voce”. Operazione impossibile e perlomeno maldestra. Il suo discorso era un mettere in discussione qualsiasi presa di posizione precostituita, un irridere qualsiasi convincimento superficiale (noi siamo fatti di superficialità più o meno profonda). 

Le sue canzoni (?), dall’aria così splendidamente banale, hanno sempre proposto temi sui quali, ancora oggi, non si è in grado di rispondere con una presa di posizione certa. La voce timbrata, che raccontava prendendo in giro le nostre contraddizioni, se n’è andata. In silenzio. In punta di piedi. Come il suo personaggio esigeva. Un borghese che sapeva parlare, chiedendo scusa, persino di Maria, questo nome strausato. 

Figura discreta, non invadente. Così al di fuori del palcoscenico urlato di oggigiorno. Al di là dei convenevoli, non saranno in molti a rimpiangerlo come artista. La coscienza critica non gode mai di grandi applausi.

Mino Rosso


 
 
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