DUE POLITICHE |
La giustizia e il consenso |
Proprio perché non mi piaceva come figura politica, sono andato a sentire Massimo D’Alema, la sera del 10 gennaio, a Torino, per vedere se dovevo cambiare opinione. Tanta gente al teatro Colosseo, molti fedeli ad applaudire, parecchi come me per studiarlo. D’Alema, oratore notoriamente molto abile, sulla illegalità profonda della presa di potere e della sua gestione da parte di Berlusconi mette parecchia sordina, preferendo parlare di proposte politiche alternative. Così, a differenza di altre parti della sinistra, continua, come fece in passato, a riconoscerlo come legittimo, anche se critica seccamente il suo governo. Riduce tutti i temi dei movimenti alla protesta negativa. Tradisce il risentimento del professionista un po’ presuntuoso e autosufficiente, disturbato dal popolo. Chiama moralistica anziché morale l’intransigenza verso il berlusconismo. Nulla sul razzismo della legge Bossi-Fini. Sulla guerra in generale ha una cultura gravemente antiquata, e accetta le falsità militari. Dice bene sul terrorismo, sulla globalizzazione, su Israele-Palestina, sulla guerra annunciata di Bush, ma non dice che il vero motivo di questa, più del petrolio, più del terrorismo, più del dittatore da destituire, è la volontà strategica imperiale; e la condanna decisamente perché inefficace e contro producente, non perché ingiusta, eversiva, criminale. Ci sono almeno due tipi di politica: quella del necessario e quella del possibile. Le due posizioni, con riferimento a valori opposti, si trovano sia nella destra che nella sinistra. Nella sinistra, la prima posizione ha di mira la giustizia, l’utopia (nel senso positivo e concreto di Bloch, l’opposto dell’utopismo), il dovere etico, la verità umana da realizzare, un passo oltre la realtà effettuale. La seconda posizione si attiene alla realtà e considera questo il suo merito, diffida degli idealismi e quindi anche un po’ degli ideali, non vede la necessità o la possibilità di andare oltre il miglioramento (i “miglioristi”) nei limiti del possibile. Hanno entrambe le loro ragioni. La prima è detta radicale, o estremista, la seconda moderata (da modus = misura, limite). In una linea politica possono esservi entrambi gli aspetti, ma uno dei due prevale e la caratterizza. D’Alema e Fassino fanno oggi la politica del possibile, Cofferati rappresenta una sperata politica del necessario. I primi sono meno intransigenti con Berlusconi, che è la realtà, e sperano di condizionarlo e contenerlo; chi sta con Cofferati è più intransigente e vuole solo sostituirlo. I primi rischiano forte di legittimarlo, i secondi di lasciarlo fare nell’attesa di sconfiggerlo nelle urne. I primi dicono di poter avere più consensi nell’elettorato e in parte della maggioranza attuale. I secondi di poter fare una politica più giusta. Il consenso bisogna che sia giusto. La giustizia ha bisogno di consenso. Io (un sessantamilionesimo d’Italia) penso: prima la giustizia, poi il consenso. e.p. |