MEMORIA
Paul Gauthier

«Vi comunico che il giorno di Natale è entrato nella pace del suo Signore Paul Gauthier, profeta del vangelo di liberazione e di una Palestina libera, ispiratore della Rete Radiè Resch». È il primo messaggio che leggo rientrando al lavoro dopo la pausa natalizia. Mi arriva da Ettore Masina che di padre Paul Gauthier è stato amico fraterno.

Paul Gauthier è stato una delle grandi figure della Chiesa conciliare (animatore di quel gruppo di 300 vescovi, presieduto dal cardinal Lercaro, che prese il nome di «Chiesa dei poveri»).

Ha speso la vita a costruire case per i palestinesi a Nazareth e Betlemme e a predicare un vangelo che avesse il sapore della liberazione. Perché Gesù era un falegname e Nazareth e Betlemme avrebbero dovuto essere le città del legno e della pialla, le città del tronco che si trasforma in tetto e del ferro che si fa tubo e del calcestruzzo che si fa muro e fondamento per nuove dimore. E invece le città palestinesi per lo più sono un cumulo di rovine. Sono le città del vangelo tradito, del bambino strozzato, le città del filo spinato e del muro rialzato, le città della segregazione e delle fogne palestinesi dove rantolano quotidianamente i nuovi bimbi che riproducono fedelmente i lineamenti del Salvatore.

Gauthier voleva una chiesa del grembiule, una chiesa dei falegnami, una chiesa che si occupasse unicamente di costruire case per i senza casa. E la voleva a tal punto da puntellarla, come una capanna, nei campi profughi in Cisgiordania, dove aveva scelto di vivere dopo la guerra dei Sei giorni e poi in Libano dove si era trasferito dal 1970.

Costruire progetti, fare ponte, mettersi al fianco dei movimenti che chiedevano libertà e pace: questo era il suo progetto e questo era il ruolo che sentiva dentro di sé.

E quando egli vedeva che la sua Chiesa si perdeva in inezie, in questioncine moralistiche, in postulati dell’effimero, non perdeva occasione per denunciarla pubblicamente, per spronarla e per indirizzarla nuovamente al suo dovere: condividere la vita dei poveri, degli oppressi, degli emarginati.

Egli vedeva i bimbi palestinesi brancolare senza nulla sotto lo sguardo odioso degli eserciti. Li vedeva morire nelle grotte, come Radiè Resch, la bimba che ha dato il nome alla rete di solidarietà internazionale che aveva fondato insieme a Ettore Masina.

E pensava all’uomo Gesù, nato fuori le mura, rigettato dagli alberghi, calpestato nei suoi propri diritti fondamentali, che era morto così, allo stesso modo: fuori le mura, come un farabutto derelitto. E capiva che il senso della vita stava proprio lì, nel costruire la speranza in mezzo alla disperazione, nell’edificare la chiesa in mezzo ai sassi.

Intorno a Paul Gauthier si sono mossi gli «amici di Gesù falegname», fra cui il grande filosofo della liberazione latinoamericana, Enrique Dussel. In una cena, molto familiare, lo scorso anno, Enrique Dussel mi ha raccontato il suo incontro a Nazareth con Paul Gauthier (esperienza dalla quale nacque il saggio El humanismo semita, del 1969). «Ero studente in Spagna – mi raccontò Dussel – e sentivo le vibrazioni del Concilio Vaticano II, che si stava preparando, con la prospettiva di una teologia di liberazione che riconsegnasse la parola ai poveri e ai dannati della terra. Sentivo il desiderio di uscire dalla cittadella dell’intelligenza per provare a vivere in mezzo agli emarginati. E allora decisi di fare la grande avventura della mia vita e di arrivare in autostop in Terra Santa. Partii da Madrid e risalii la Spagna, passai di traverso la Francia ed entrai in Italia. Andavo a dormire dove trovavo accoglienza, povero fra i poveri. Impiegai tre mesi prima di arrivare a destinazione, passando in mezzo a pericoli immani, come quando riuscii a oltrepassare la Siria fra i carri armati. Volevo lavorare con il popolo palestinese oppresso. E a Nazareth conobbi Gauthier, che mi diede una cazzuola in mano e mi disse: “Ecco come si imparano i rudimenti della teologia della liberazione”».

Dalla testimonianza di Paul Gauthier si sviluppò, in Occidente, l’esperienza dei preti-operai, il tentativo cioè di portare il vangelo nei bassifondi della società. Erano gli anni di Primo Mazzolari e Arturo Paoli con i quali Gauthier scrisse La collera dei poveri: «Si deve stare molto attenti - annotò padre Paul – a non paralizzare e ostacolare il movimento operaio per la giustizia legandosi inconsciamente a un sistema economico e sociale generatore di poveri: non serve a niente soccorrere i poveri se prima i poveri li si fabbrica».

Negli ultimi anni Paul Gauthier si era ritirato a Marsiglia. Aveva deciso di uscire dal mondo ecclesiale, si era sposato ed aveva adottato due bimbi. La notte di Natale è morto all’età di 88 anni. La sua lezione di radicalità evangelica torna sempre di estrema attualità e il suo messaggio di pace nel Medio Oriente in fiamme rappresenta un punto nel futuro.

Francesco Comina


 
 
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