UNA PROVOCAZIONE E LE RISPOSTE / 2
Una lettura nonviolenta della Bibbia

Salutavo gli amici a cui scrivevo come lettera le cose sulla violenza biblica pubblicate sull’ultimo numero del foglio dicendomi grato a chi mi avrebbe detto il suo pensiero. Ho ricevuto una dozzina di risposte, tutte di persone amiche nel comprendere e nel correggere.

Un’amica protestante mi scrive: «Trovandomi a preparare una liturgia per la pace in Palestina, scorrevo la Scrittura e ogni testo che leggevo in quello specifico contesto, mi sembrava di parte, nazionalista, improponibile. (...) Ho fatto per la prima volta i conti con il silenzio del Libro. Esperienza ancora più tragica dell’assenza del divino (ma allora è proprio vero che noi protestanti abbiamo il papa di carta!!) perché la Scrittura non è per me solo (?) Parola di Dio, ma anche la mia lingua materna, il modo con cui io dico il mondo, la gioia, la sofferenza, l’amore, la rabbia. (...) La Scrittura che tu rifiuti (e fai bene a diffidare dell’apologia teologica al riguardo) mi indigna. (...) Questa Parola tanto cara che scopro oggi indecente e indicente, la vorrei migliorata. Vorrei redimerla... e nel ri-narrarla cerco di migliorarla, presto il mio suono, la mia creatività, ma soprattutto la mia passione a questo linguaggio che è altro da me eppure parte di me. (...) Mary Dali negli anni 70 fece scalpore decidendo, dopo aver scritto il suo libro Al di la di dio padre, di lasciare la chiesa, sostenendo che non c’è speranza per essa a meno di formare una chiesa di sole donne. Concluse che la Scrittura è un libro sessista che rafforza il patriarcato ecc. Oggi noi potremmo tentare qualcosa di analogo: Al di la del Dio violento».

La Parola ha bisogno dell’uomo

Un altro amico, da molto lontano, scrive: «Conoscendo la naturale aggressività di qualunque essere umano, non mi stupisce che, nell’epoca dei racconti biblici, un pugno di tribù circondate da possenti eserciti e che doveva vivere di scorribande e scaramucce, invocasse in suo aiuto un Dio degli Eserciti. (...). Ho appreso da poco che al concilio di Trento è stata dichiarata “chiusa” la Rivelazione, e che dunque essa consta delle sole scritture canoniche. Di questa verità di fede (?) ero finora felicemente all’oscuro. Con molto ritardo storico mi ci ribello più o meno per le stesse ragioni del tuo rifiuto della violenza biblica. Non posso pensare che non sia anch’essa rivelazione la parola dei profeti moderni, che ci annunciano un Dio totalmente alieno alla violenza, e che essa non serva a “compensare” la parola sanguinaria di altre scritture, solo perché queste sono arrivate prima che si chiudessero le iscrizioni alla Rivelazione. Credo in una Rivelazione che è parola di Dio, ma che ha bisogno dell’uomo per rivelarsi, e che continua a operare nella storia fino ai tempi ultimi della pienezza. Credo in una Rivelazione che non è solo interpretazione apologetica, ma anche novità di orizzonti e di speranze. Credo nella pace che si svela, contro la violenza che ben conosciamo».

La terza lettera è di un bravo filosofo: «Sono del tutto d’accordo con il tuo rifiuto dell’ideologia violenta che si è insinuata nella Bibbia. Occorre andare più avanti in una lettura desacralizzata, nonviolenta e non sacrificale dei testi. Una linea molto chiara e illuminante, in tal senso, è proposta dal biblista Alberto Maggi nei suoi libri pubblicati da Cittadella».

Solo nella liturgia

Anche un monaco mi scrive: «Ho letto le tue amare considerazioni sulla Bibbia, che ovviamente rispetto, anche se forse tu rimani invischiato in quella equazione: Bibbia = Rivelazione = Parola di Dio che dalla Dei Verbum è stata superata. (...) La Bibbia, in nessun passo, è Parola di Dio, a meno che non la preghiamo a partire dalla Liturgia eucaristica: solo lì lo è, almeno per un cristiano! Allora, anche qui dovremo fare tagli negli attuali Lezionari che già li hanno fatti abbastanza bene. Capisco lo sforzo di capire gli altri (Israele, gli islamici) che, sostanzialmente per un lettura fondamentalista, talvolta in modo consapevole, non riconoscono questa ardita collocazione del libro e anche dei Vangeli stessi».

Un amico di Roma, medico: «Caro Enrico, un suggerimento ce l’avrei: considerare che il superamento dell’Antico Testamento è già interno alla Bibbia Ebraica. Leggere il Deutero-Isaia e il Terzo con un eccellente commento (Westermann, edito da Paideia). La tipologia non l’hanno inventata i Padri e neppure Paolo: c’è già in quel Non ricordatevi più delle realtà antiche! (cfr. Is 48,9-11), detto che noi non possiamo permetterci di trascurare, quand’anche se lo permettessero i rabbini...».

Una critica religiosa

Una studiosa, anche d’intesa con un prete con cui ne ha parlato, mi scrive: «Rifiuto tutto ciò che nella Bibbia si riferisce a un Dio che elegge il popolo d’Israele, idea profondamente collegata con la violenza sacra. Un Dio che sceglie un popolo, ne esclude evidentemente altri, anzi gli altri. Ciò non toglie che ci siano persone, comunità, epoche che si aprono più di altre alla voce dello Spirito. (...) I salmi sono la preghiera delle preghiere e dovrebbero essere lo spazio in cui si nutre il nostro spirito. Quando nello splendido salmo 137 leggo i versetti finali, mi viene da vomitare, e urlo: “No!”, non me l’aggiusto con l’arzigogolato e tremendo ragionamento che Dio in Gesù ha assunto su di sé questa vendetta. Il salmista in questa preghiera ritiene che il suo desiderio di vendetta sia conforme alla volontà di Dio, esattamente come Elia crede che Dio voglia che sgomini gli idolatri a fil di spada. Personalmente “spurgo” questi salmi violenti, sebbene altri critichino con passione operazioni analoghe. La preghiera mi deve purificare, non deve sacralizzare – perché certi salmi lo fanno – la violenza che abita il mondo e me. (...) Il fatto che questi testi siano stati trasmessi dall’ebraismo – e peraltro anche dalle nostre chiese cristiane – non suscita in me neanche l’ombra dell’antiebraismo: fanno parte del lungo, travagliato cammino dell’uomo verso un’immagine alta e pura di Dio, cammino che è ben lontano dall’essere completato, concluso. È giusto conservarli, dunque, non pregarli. Ciò che va rifiutato, come scrivi, è leggerli senza una “critica pacifista”, anche se io direi senza una critica “religiosa”, di quella religione – che è l’unica – suscitata dallo Spirito che parla all’uomo infrangendo i muri, non solo quelli tra gli ebrei e chi proviene dal paganesimo, ma i mille muri elevati da tradizioni e da religioni».

Brevemente, un’altra studiosa dice: «Ho notato che in certi passi di guerra (ma mi riferisco alla Genesi) il messaggio importante è comunque un altro. Penso che si debba cercare di capire, prima di rifiutare. Comunque anche i salmi fanno difficoltà, almeno a me».

Parola di Dio?

Un valente teologo: «Ho riletto recentemente da capo a fondo la Bibbia, per un lavoro. Leggendo i cosiddetti libri storici, ho provato le tue stesse reazioni, altrettanto violente. Ti dico a che punto sono. Vedo due considerazioni importanti. 1) La prima è un ripensamento del tema “Parola di Dio”: in che senso? Molti, anzi tutti i libri biblici sono anzitutto lo specchio di una storia, di una religiosità e di una cultura, maledettamente terrene. La loro carica rivelativa va spesso faticosamente cercata con complesse operazioni ‘minerarie’, scavando e scavando. Essa comunque non ha affatto il senso di giustificare gli orrori infiniti che troppe pagine testimoniano (forse ingigantite dal genere letterario). 2) La seconda è uno sguardo alle tradizioni liturgiche di duemila anni di cristianesimo. I “lezionari” di tutte le “famiglie rituali” d’Oriente e d’Occidente hanno sempre fatto selezioni drastiche nei testi da proporre alla pubblica proclamazione, incluso un riserbo nei confronti di alcuni salmi “impossibili”. Non credo che l’insieme delle due tradizioni viventi, ebraica e cristiana, abbiano ancora fatto bene i conti con il problema. Non basta evidentemente l’occultamento tacito e “pudico”. Di questo occorrerà continuare a parlare, pensandoci bene».

Anche una nota giornalista ha voluto dirmi: «Grazie per l’appassionata lettera. Ci devo pensare un po’ su, perché, in effetti, anch’io non so bene quale atteggiamento interiore assumere».

L’etica fonda la religione

Ancora un filosofo, anzi un saggio, e un altro teologo, entrambi amici provati. Riassumendo qualche passaggio, ecco la lettera del primo: «Viviamo in un tempo in cui i problemi spirituali sono quelli posti, ovvero percepiti, da chi si scandalizza per come vanno le cose. Hai ragione a pensare che il problema centrale è quello del rapporto tra religione ed etica: non è la prima a fondare la seconda (i santi non sono tali perché amati dagli dei), ma la seconda a fondare la prima (i santi sono amati dagli dei perché santi). Noi non possiamo che proiettare in Dio i criteri di giustizia, di libertà, di amore che faticosamente elaboriamo nella nostra esperienza storica. E questa proiezione non è altro che il riconoscimento del valore assoluto di quei princìpi. (...) Ma ecco lo scandalo: chi si appropria delle parole della trascendenza per amministrarle nella forma del dominio? La storia sembra dichiarare che ogni istituzione, anche, e forse più, quella religiosa come quella politica, ha questa struttura alienante. Ma qual è dunque l’alternativa? La parola stessa, cristallizzata, diventa istituzione. Allora, il silenzio totale? Degli uomini e degli dei? Per troppo di vigore viene smentita la percezione della divina terrestrità, del mondo che parla di Dio. Intanto, è sicuro che né la Bibbia in sé, né la chiesa come sua interprete, ci hanno aiutato a sciogliere il nodo. Ci rimane una certezza: che nessuno, neppure Iddio, può violare giustizia, libertà e così via come valori dell’uomo, senza smentirsi e annullarsi. Ma basta questo per vivere tranquilli? In verità, chi può mai desiderare di vivere tranquillo così gettati come siamo nell’ambiguità della storia? Forse è questo il maggior crimine della chiesa e dell’ebraismo biblico (per non parlare delle altre religioni): pretendere di essere il baluardo della tranquillità senza fare i conti con la fatica e la sofferenza dell’elaborazione del pensiero e dell’esperienza umana in generale: senza fare i conti con i problemi spirituali».

Il teologo, rispondendo al telefono al mio intervento «di grande calibro» (bontà sua), mi dice che egli tiene il canone, ma anche un canone per interpretare il canone. In un suo libro di introduzione ai salmi, egli scrive che nella preghiera «verranno abbandonati quei simboli che esprimono una visione di Dio e dell’uomo non ancora decantata da motivi di violenza», e che una linea di sviluppo per la comprensione del sensus plenior, specialmente nei salmi imprecatori, è «un cammino di purificazione, lungo ma non impossibile».

Sono grato a questi amici, per l’aiuto in un cammino che è di ogni credente sincero.

Enrico Peyretti


 
 
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