LETTERE
Dopo il 15 febbraio 
nulla come prima

Cari amici del foglio, vi scrivo per condividere una riflessione e una speranza. L’11 settembre 2001 un fatto eccezionale sembra aver modificato il corso degli eventi. È stato subito etichettato con l’aggettivo «storico». Aggettivo spesso abusato, ma che sembra, in questo caso, ben speso. Se, speriamo di no, non verranno nel prossimo futuro altri fatti così drammatici ad oscurarlo, questo rimarrà sicuramente nei libri di storia. Da allora non si fa che ripetere che «il mondo non è più come prima», che «c’è un prima e un dopo 11 settembre». Se da un lato emozionale non possiamo negare che sia così, sotto altri aspetti è necessario cercare di ridimensionare la portata di questo fatto. Per due motivi.

Il primo è stato già più volte enunciato, a costo di attirarsi critiche di cinismo e di antiamericanismo: siamo sicuri che l’attentato dell’11 settembre valga di più altri
drammatici fatti avvenuti in parti del mondo meno vicine ai luoghi del potere economico e politico? Che i 2600 morti delle Torri Gemelle valgano di più di quelli di Bhopal o del Ruanda? Naturalmente non si tratta di fare una viscida contabilità, o di stilare classifiche, o di stabilire quante vittime povere ci vogliono per farne una
ricca. Ma di sapere che ogni vittima della violenza e dell’arroganza umane grida davanti a Dio e che usare sempre due pesi e due misure allontana la ricerca di
giustizia nel mondo. Fare finta che di eventi così ce ne sia uno solo non aiuta ad evitare che essi si ripetano.

Il secondo motivo è che non possiamo arrenderci al fatto che sia sempre la violenza a farla da padrona. Innalzare a evento chiave del nostro tempo un evento di violenza, mette proprio essa, la violenza, al centro della nostra storia e dà ragione a chi l’ha commesso, visto che ottenere risonanza mondiale e condizionare il corso degli eventi era proprio l’obiettivo che gli attentatori si erano prefissi. La violenza non può che produrre violenza: che siano sempre le guerre, gli attentati, i morti, i punti di partenza del nostro agire non può che rinchiuderci in un circolo vizioso.

Come si fa a ribaltare questa logica? Possiamo provare a mettere al centro del nostro tempo un evento non violento, un evento di pace? L’evento ce l’abbiamo a portata di mano ed è la manifestazione mondiale del 15 febbraio. È un evento storico? Sicuramente non era mai successo prima che milioni di persone manifestassero per lo stesso motivo, e che, al di là delle cifre (sempre discusse e discutibili), questo avvenisse contemporaneamente in centinaia di città in tutto il mondo. Uno dei più grandi (e begli) esempi di globalizzazione. È un evento mondiale? In parte. Certamente le manifestazioni si sono svolte per lo più nei paesi occidentali e nel nord del mondo, ma comunque con una diffusione paragonabile solo alla diretta tv della finale dei mondiali di calcio. Per ciò che possiamo sperare ora, con più della metà della popolazione mondiale esclusa dalla possibilità di manifestare (o perché il regime sotto cui vive non gliene dà la libertà o perché alle prese con il problema più urgente di sopravvivere), si può dire che questo è un fatto di portata mondiale. È un evento pacifico? Sicuramente sì, sia per l’obiettivo – chiedere la pace – che per i modi. In tutto il mondo si sono segnalati pochissimi disordini, e migliaia, in alcuni casi milioni, di persone sono scese in strada senza fare danni, senza scontrarsi tra di loro o con le forze dell’ordine.

Non possiamo lasciare che un evento così importante e così bello cada nel dimenticatoio, non compaia nei libri, non sia ricordato. Alcune manifestazioni del passato, non necessariamente le più grandi, vengono tuttora ricordate come punti di svolta significativi (si pensi, in Italia, alla marcia dei 40.000 “colletti bianchi” della Fiat). Facciamo dunque sì che anche questa sia ricordata. Certo vorremmo che fosse ricordata per il suo effetto – magari avessimo scongiurato la guerra! – ma in parte questo effetto è ancora da vedere, e dipende molto da come e quanto del 15 febbraio si parlerà in futuro. Dipenderà da quanto quel momento sarà un punto di riferimento per tutto il movimento pacifista. E allora cerchiamo di creare una retorica del 15 febbraio. Contrapponiamo la pace voluta da molti alla violenza voluta da pochi. Isoliamo nell’indifferenza chi ha voluto il male e la morte, mentre chi vuole la pace è in buona e numerosa compagnia. Iniziamo prima di tutto a convincere noi stessi e poi a dire alto e forte che «dopo il 15 febbraio nulla è più come prima». E ad agire di conseguenza.

Paolo Dall’Aglio 
 


 
 
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