STRADE DELLA POLITICA |
Il realismo dei principi |
«Il mondo acquista valore grazie ai suoi estremi
e resiste solo grazie alla moderazione; gli estremisti rendono grande il mondo, i moderati gli danno stabilità». Paul Valery L’apologia del realismo (vedi La violenza dei principi? di Massimiliano Fortuna, nel n. 301) ha molte buone ragioni, se, come ogni apologia, assume il meglio di ciò che difende, ma ne ha meno se non fa altrettanto verso ciò che critica. Va confrontato il meglio delle due posizioni. Idealismo, utopia, posizioni di principio, apriorismi e assolutezze (serie di termini che va dal positivo al negativo), possono produrre atteggiamenti nefasti, stupidi, e persino violenti. Certamente. Anche il realismo ha questa deriva negativa, che non è difficile da constatare, guardandoci attorno. Il lato positivo del realismo è stato messo in luce. Si può fare lo stesso riguardo all’idealismo. Come si può accusare la violenza dei princìpi, si può ben dimostrare anche la violenza del realismo. Capitini a chi gli diceva: «La realtà è questa», rispondeva «E io non l’accetto!», cioè non si fermava lì, ma metteva tutto se stesso nell’andare interiormente (spirito e intelligenza e volontà) e operativamente verso una «realtà liberata». Gandhi si diceva «idealista pratico». Balducci idem, in sostanza. Gene Sharp mi ha detto: io credo nella superiorità morale della nonviolenza (idealismo), ma voglio soprattutto mostrarne l’efficacia e il minor costo umano rispetto alla violenza (realismo). Se qualcuno ha avuto il senso della realtà, non statica, ma profetica (l’«uomo inedito», di Balducci), sono questi maestri. La lettura più profonda è più reale. Tutto il contrario dell’evadere nell’utopismo, o dell’imporre la propria visione, o del rassegnarsi ai fatti. Il “caso per caso”, il pragmatismo, a furia di stare nella realtà, finisce per adottare anche la guerra, cioè l’orrore morale e fisico, come vediamo fin troppo. Ci sono dei valori di principio, e non sono violenti, ma liberanti. Se siamo violenti noi nell’imporli, non è proprio ciò che essi richiedono. Senza l’orientamento e il giudizio dei princìpi c’è solo la cecità micidiale del potere di fatto. Chi vuole “realizzare” a forza dei principi ideali è un “realista” che giustifica e copre la realtà bruta con le idee più nobili. Forse il realista onesto pensa che l’idealista si voglia facilitare la vita con l’abbellire la realtà per non soffrirne la difficoltà e la durezza. L’idealista non è l’ottimista (che qualcuno definisce uno stupido felice), ma è uno che vuole, che ama, che paga, che soffre, che opera pur di vedere e di trarre alla luce il meglio nascosto nelle potenzialità della realtà in atto. Diceva il realista all’idealista: guarda come stanno le cose! Diceva l’idealista al realista: guarda come soffrono le cose! Io sento che il più fecondo è il metodo «ragione con passione». Il cuore, o lo spirito, vede più della mente, o almeno l’aiuta a capire, la illumina, nella sua indispensabile fatica. Mi occorre il realismo, ma non sto al centro, pendo verso l’idealismo. E perché? Perché la realtà è il punto di partenza, la pista di lancio (e come non tenerne accuratamente conto?), è l’incompiuto, ma l’idealismo è il cammino, verso il compimento, l’oltre. E questo anche per chi non ha la fede nella promessa divina che il bene prevarrà sul male. Per tutti, la realtà è lì per essere cambiata, sviluppata, inverata, solo per questo. E l’ideale, che deve adeguarsi totalmente alla verità ulteriore, via via che ne vede qualche luce, e obbedirle col pensiero e con l’azione, è ciò che feconda e matura la realtà. La verità è la realtà della realtà. Nessun realista è realista come l’idealista pratico. Enrico Peyretti |