LETTERE
Il fico maledetto

Cari Signori, da tempo mi assilla un dubbio: che motivo aveva l’uomo di Nazareth di maledire l’albero di un fico perché secco?

Mi faccio delle domande banali e sincere; se il fico fosse stato seccato da un fulmine, dalla mancanza di pioggia, d’acqua; se un parassita, un verme l’avesse attaccato e minato nella sua forza, alle sue radici. E perché, potendolo fare, Gesù non lo ha restituito alla vita?

Vedete, tante volte mi vien fatto di pensare che quel fico potesse essere o rappresentare quelli che tra noi vivono già una vita senza forze, senza linfa. I tanti nati storpi, gli ammalati in genere, i derelitti, i perseguitati, i poveri, gli infelici. Tra questi ci sono anch’io, tra gli infelici. Come se una parte di me non fosse più viva; un pezzo di cuore ad esempio, o un ginocchio irrimediabilmente rotto.

Ho pietà per quel fico, comprensione. Se avessi potuto, dopo le parole di Cristo, l’avrei abbracciato e, al di là di facili metafore, di paradigmi di cui la Chiesa illustrerebbe enciclopedie, amo di meno quel Gesù che maledice.

Filippo Grillo


Le riflessioni di questa lettera esigono, forse, alcune precisazioni. I vangeli non parlano di un albero maledetto perché già secco di suo. Se mai, in modo anche più sconcertante, raccontano di un fico, carico di foglie, a cui Gesù si avvicina per saziare la sua fame, e che trovato privo di frutti, in quanto «non è la stagione dei fichi», viene maledetto e seccato (Marco 11,13-14).

Ora questo episodio di incontro-scontro tra Gesù e il fico non va letto come evento storico, ma come un racconto esemplare. Esso riprende e rilancia l’immagine profetica di Israele, vite o fico, che prediletto dalla cure di Dio dovrebbe dare deliziose primizie (Osea 9,10), ma lo lascia a becco asciutto: «Non un grappolo da mangiare, non un fico per le mie voglie» (Michea 7,1).

A valorizzarlo magistralmente è Marco che lo colloca, subito dopo l’ingresso festoso in Gerusalemme e subito prima della cacciata dei mercanti dal Tempio, all’inizio cioè dell’altrettanto drammatico incontro-scontro tra Gesù e la Città Santa, che culminerà sul Golgota. Qui è maledetto e fatto seccare l’albero, simbolo di Gerusalemme, non perché sterile, ma perché non sa anticipare con le sue primizie la stagione naturale del raccolto. Là verrà maledetto e lasciato morire appeso al legno il profeta-messia, che nel suo insegnamento e nella sua vita ha annunciato e precorso la giustizia, la pace, la misericordia e la salvezza del Regno.

Il fico, carico di foglie e avaro di frutti, che il mite Gesù colpisce con tanta ira inattesa, ma, nel registro simbolico del racconto, ben giustificata, è l’anti-tipo del Servo sofferente, che «sfigurato e privo d’apparenza e bellezza ... salverà molti» (Is 53). È l’antitesi di Gesù, ma è un’antitesi di difficile lettura, tanto che già Matteo (21,19), il solo che riprende Marco, senza capirlo del tutto, lascia cadere la notazione che «non era il tempo dei fichi». Giovanni sorvola e Luca utilizza il richiamo al fico in modo opposto, con una parabola che esalta la pazienza di Dio e la misericordia di Gesù. In essa a un fico sterile è dato altro tempo e altra cura affinché fruttifichi (13,6-9).

Davvero chi non è in grado di dare nella sua vita i frutti terreni che il mondo apprezza può sentirsi affine al fico sterile di Luca e persino a quello maledetto e seccato di Marco e Matteo, per lontane analogie esegeticamente infondate ma esistenzialmente comprensibili. Allora, però, credo che, aprendo gli occhi e guardando più attentamente il legno che intende abbracciare, si accorgerà che non di un tronco si tratta ma del corpo martoriato del Crocefisso, tradito dai suoi, deriso sul Golgota dagli uomini e abbandonato persino da Dio. «I passanti lo insultavano, scuotendo il capo ... Ugualmente i sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffa di lui, dicevano: “Ha salvato altri, non può salvare se stesso!”.

E anche quelli che erano crocefissi con lui lo offendevano ... Alle tre Gesù gridò con voce forte: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”»

(Mc 15,29-34).

Forse si potrebbe dire che il fico di Marco, fino a che con le sue foglie verdeggianti promette ciò che non ha è anti-tipo e antitesi di Gesù; ma quando da lui maledetto sta secco e desolato sul colle, può anche per noi, impotenti in tante cose materiali e spirituali, diventare, non del tutto abusivamente, tipo e via di identificazione col Crocefisso.

a.b.


 
 
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