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La gioia degli incontri |
Il genere di questo libro è originale: non è un’autobiografia, né una galleria di medaglioni, ma una etero-auto-biografia. L’Autore vi racconta la propria vita attraverso i grandi incontri. Non parla di loro per parlare di sé, ma di loro e della loro influenza su di sé, per leggere in profondo la vicenda storica del secondo Novecento fino ad oggi. Sono incontri sullo sfondo del mondo, a cui quei volti rimandano. In realtà, noi siamo costituiti dagli altri, mentre altrettanto veramente ci costituiamo responsabilmente lunga la vita. Come dice Sartre: «Noi siamo ciò che facciamo di ciò che gli altri hanno fatto di noi», col condizionarci e con l’aprirci panorami di vita. Vivere è incontrare, ricevere, scambiare, collaborare. E su tutto ciò riflettere, per raccogliere e ritrasmettere ad altri. Raniero La Valle ha passato da poco i 70 anni, l’età (io ci sono vicino) in cui si comincia a chiedersi che cosa si può lasciare ai giovani e agli amici. Dice il salmo 90: «Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti. La maggior parte fatica e affanno (...). Insegnaci a contare (o valutare) i nostri giorni per arrivare alla sapienza del cuore». Tutti abbiamo qualcosa di umilmente prezioso da lasciare, tutti, tutti. I più con la vita, qualcuno anche con un libro. Scrivere un reportage giornalistico di alto livello, come questo, è una sapiente meditazione narrativa sulla propria vita, entro il tempo lungo del cammino umano. «Perché il mondo continui ci dobbiamo parlare (...), raccontare prima di morire» (p. 309; 314): l’Autore raccoglie questa lezione da Schmitt e Taubes. Ancora il salmo: «Rendici la gioia per i giorni in cui ci hai afflitto, in compenso degli anni in cui abbiamo visto la sventura». C’è già la gioia degli incontri, che fede e speranza sanno riconoscere anche dentro e attraverso le afflizioni. È una grande fortuna della vita avere incontri di valore. Ed è grande merito riconoscerne il valore e apprendere dagli incontri la sapienza che legge i segni dei tempi. Si può lasciare a chi ci segue ciò che si è ricevuto. Raniero La Valle racconta, con debito di gratitudine e di consegna, i grandi volti e testimoni di futuro che ha ricevuto lungo la sua vita. Ci dobbiamo chiedere se i giovani raccolgono oggi i volti e le voci di questi testimoni. Il titolo, che è bellissimo, lo spiega l’Autore, nella presentazione del libro che abbiamo fatto a Milano, alla Corsia dei Servi, insieme ad Aldo Tortorella e Silvano Fausti: significa l’urgenza del nostro momento. Non c’è solo tragedia, c’è qualche speranza, ma urge raccogliere e trasmettere ciò che permette un’alternativa alla catastrofe progettata dal potere dominante. Prima che la vita umana, ricerca d’amore, sia fatta finire, il gesto definitivo che urge è il recupero e la forte assunzione dell’unità del mondo, del genere umano. L’unità umana oggi è programmaticamente rotta: il futuro armato è di alcuni, ed è negato agli altri, visti solo come minaccia e pericolo. Tutto ciò che fa unità è per l’uomo, è il gesto anti-apocalittico, contro la divisione in sommersi e salvati; è il gesto urgente, prima che tutto sia fatto finire. L’amore, e il ricordo dell’amore incontrato nelle grandi anime, produce risorse di salvezza, che durano. Grandi anime anche in piccole vite ignote, dalle quali comincio nel nominare alcuni degli incontri. Giuliana, la bambina handicappata, che la classe elementare di Agata sa accogliere, riconoscere, mettere al centro. Se non lo mettiamo al centro, ma al margine, il povero, e Dio stesso, è perduto. Enrico, un altro bambino, che, proprio come Ivan Illich, accetta il morire ma non la morte, non l’aggiungere morte, quindi l’uccidere. Mi ricorda, il pensiero di questo bimbo, quello di Simone Weil: «La nonviolenza consiste nella ripugnanza ad uccidere più che a morire», e quello di Aldo Capitini: «La vita senza morte comincia col non uccidere». E La Valle: «La morte non è morte, se giunge prima che l’amore finisca» (p. 294). Può venire anche la morte, non è tragedia, come sarebbe se l’amore finisse prima che finisca la vita. Non solo l’amore interpersonale, ma anche l’amore politico, tema di uno dei grandi testimoni qui raccolti, il pastore Tullio Vinay. Del quale mi piace aggiungere il ricordo della proposta che fece in Senato, nel febbraio 1977, di un ministro della pace, riprendendo un’idea di Capitini. Tante altre persone qui raccontate e rese presenti sono assai note. Di Balducci ci giunge una parola che vale ora per Israele e Palestina: «Un amore per la giustizia che prescinda dalla pace diventa inevitabilmente terrorismo. Ma un amore della pace senza giustizia diventa la menzogna insediata nel mondo» (p. 222). Tonino Bello, che definisce la pace «convivialità delle differenze», è l’esatto opposto di Huntington, il cui famoso libro sullo scontro delle civiltà «non era un’analisi, in realtà era un progetto, l’enunciazione di una linea politica» (p. 234). Come deve fare un intellettuale informatore, perciò critico di professione, La Valle ci documenta e smaschera progetti di dominio (pp. 283; 235; 247 e ss.). Aldo Moro, Benedetto Calati, Papa Giovanni, Marianella, Enrico Berlinguer, Lercaro, Claudio Napoleoni, Turoldo, Dossetti, Italo Mancini, sono altri nomi vivi chiamati a testimoniare per il futuro. E presenze vicine, intime, come Cettina, come Mercedes, la madre creativa, colta, coraggiosa, interculturale e planetaria, la prima educatrice dell’Autore. Un tema presente in molte pagine (pp. 144, 150, 216, 318 e altre), proposto da molti di questi volti, è l’interrogativo: quale Dio? Quale è da respingere, quale da accogliere? e.p. • Raniero La Valle, Prima che l’amore finisca. Testimoni per un’altra storia possibile, Ponte alle Grazie, Milano 2003, pp. 350, € 16,00. |