PER I TEMPI CHE STIAMO ATTRAVERSANDO
La sfida dei fondamentalismi

Preziosa e illuminante, nei tempi che stiamo attraversando, la lettura di due dei tre saggi di cui si compone Il libro e la spada. La sfida dei fondamentalismi, Claudiana 2000. I due autori, Stefano Allievi e Paolo Naso, collaboratore il primo e direttore il secondo della rivista interreligiosa «Confronti», cercano di ricostruire il percorso teologico, politico, culturale dei fondamentalisti nell’islam e nel cristianesimo evangelico degli Stati Uniti. Radici di appartenenza e conoscenza critica dell’argomento da parte degli autori rendono questa lettura efficace per chi vuole andare oltre la superficialità mediatica dei fenomeni fondamentalisti. Sono pagine, che informano con coinvolgente correttezza e che richiedono un confronto consapevole e impegnativo.

Bush, uomo di fede

Siamo appena entrati nel dopoguerra iracheno: tutti ricordiamo i diversi pretesti ufficiali con cui l’amministrazione Usa ha intrapreso questa guerra, amplificati o smentiti dalla stampa internazionale e negati dal basso dalle bandiere arcobaleno che ancora esponiamo alle finestre o altrove, consapevoli che, anche se questa guerra è finita, non lo è nelle sue conseguenze e che altre guerre dello stesso tipo ci possiamo aspettare. Le ragioni vere di queste guerre restano, come resta il fondamentalismo religioso (in buona o cattiva fede non fa differenza) di quelli che, insieme a Bush, frequentano i nuovi gruppi di studio sulla Bibbia «spuntati come funghi, da quando George W. Bush si è trasferito nella sala ovale e che si sono moltiplicati dopo l’11 settembre». L’espressione tra virgolette appartiene a un articolo di James Harding («Financial Times») uscito su «Internazionale» del 28 febbraio 2003 dal significativo titolo Un uomo di fede. Nello stesso articolo, sulla fede (fondamentalista) di Bush vi è la conferma del responsabile della comunicazione per la Casa Bianca: «Lui (Bush) prende molto sul serio la sua fede. È la fede che gli ha dato la forza e la capacità di essere un leader».

Come avviene il passaggio tra fede e opere in un fondamentalista cristiano, nel suo caso metodista, come l’attuale Presidente americano? Dal lavoro di Naso apprendo che un altro Presidente, Jimmy Carter, battista del Sud, anche lui fondamentalista, anche lui uomo di fede, è passato a tutt’altre opere, di evangelica radicalità. Come mai? Che differenze ci sono, se ci sono, a livello teologico tra fondamentalisti metodisti e fondamentalisti battisti?

Per questi e altri interrogativi (o almeno per porseli in modo sensato) è prezioso il saggio di Paolo Naso Tra radicalità evangelica e tentazione politica. I diversi volti del fondamentalismo cristiano.

Ho una limitata conoscenza del mondo protestante in genere e nessuna del fondamentalismo Usa. Quella del mondo protestante si riduce a un soggiorno di un anno nel 1970 in California; solo nel quartiere in cui abitavo avevo relazioni con famiglie episcopaliane, metodiste, unitariane e presbiteriane e talvolta ho partecipato alle loro funzioni domenicali. Il tutto avveniva a livello di buon vicinato, spaziando nella comunicazione dalle ricette di cucina alla religiosità del quotidiano; forse a causa del mio cattivo inglese e malgrado le mie curiosità religiose, attivate dai precedenti contrasti italiani con l’integralismo cattolico, ho colto solo la varietà delle tradizioni religiose pacificamente conviventi, senza sfumature fondamentaliste. Che cosa sarà cambiato in tanti anni nella religiosità della gente di quel quartiere?

Solo per i Testimoni di Geova, che ho potuto conoscere qui in Italia attraverso incontri personali e letture del loro materiale divulgativo (che è di provenienza americana) potrei descrivere il loro fondamentalismo. Del resto ognuno di noi, se curioso e attento alla religiosità dell’altro, lo potrà fare di persona interpellandoli, perché i Testimoni di Geova spesso bussano alla nostra porta. Scoprirà per esempio che sono fondamentalisti sì, ma nonviolenti, ben lontani dalle logiche di guerra di altri fondamentalisti americani.

Il fondamentalismo cristiano

Il saggio di Naso conferma la varietà delle chiese evangeliche storiche negli Usa, ne illustra l’evoluzione nel corso del Novecento, informa sulle nuove confessioni e sugli intrecci con il fondamentalismo. Sono dinamiche cristiane molto interessanti, diverse e nuove per noi, soprattutto se confrontate a quelle che conosciamo dall’interno del cattolicesimo. Nel mondo protestante non esiste un’autorità religiosa cogente con il potere religioso e le funzioni della chiesa cattolica. Di questo mondo protestante e delle sue derive fondamentaliste sappiamo ben poco direttamente, anche perché l’unico gruppo evangelico con cui ci relazioniamo sono i valdesi, che per la loro storia di minoranza perseguitata hanno elaborato scelte teologiche, politiche, culturali ben diverse da quelle degli evangelici Usa, che hanno invece forte sostegno economico dei fedeli (non sono chiese povere) e potere politico, in un paese di ostinata devozione. Questo protestantesimo manifesta per tutto il Novecento un intreccio fra chiese, mass-media, finanziamenti, predicatori, vita politica organizzata non facile da decifrare per un europeo; un intreccio che rende oggi comprensibili le allarmanti «prediche» di George W. Bush.

Un altro aspetto del fondamentalismo storico americano è gravido di conseguenze. Il gruppo di teologi, trasversale alle chiese evangeliche che nel 1895 elencarono i cinque principi fondamentali della fede cristiana, misero al primo posto l’inerranza della Scrittura, in quanto ispirata da Dio. Da qui derivano nel corso del Novecento alcune fondamentaliste conseguenze, fino al creazionismo, cioè al rifiuto per fede delle teorie evoluzioniste, che ancora imperversa in molte istituzioni scolastiche pubbliche americane o alla lettura letterale della Bibbia dei nostri Testimoni di Geova. Anche qui viene spontaneo il confronto con il mondo di tradizione cattolica e la sua diffusa ignoranza biblica. Da noi la lettura della Bibbia e la sua conoscenza è cosa clericale, ci pensano i preti nelle omelie; la comunità dei fedeli non la pratica e non ne conosce il contenuto, se non a brani. Una differenza che può laicamente consolare perché ci rende immuni dal Dio degli eserciti del primo Testamento invocato da Bush; non certo però da un punto di vista religioso, perché nella Bibbia c’è ben altro che il Dio degli eserciti per chi si è messo alla sequela di Gesù.

Islamismi

Da anni si fa un gran parlare di pericolo islamista: a ragione o a torto a seconda del contesto fattuale e dell’uso che si vuole fare del fenomeno. Proprio in questi giorni l’attenzione dei media è sui cosiddetti estremisti sciiti e sugli “esagitati” pellegrini che hanno percorso le vie di Kerbala, la città santa del Sud dell’Iraq. Queste notizie date con colpevole ignoranza disinformano sullo sciismo e sulle diversità storiche, politiche, culturali nel mondo islamico. La disinformazione, anche se fatta solo per ignoranza e superficialità giornalistica, è dannosa e pericolosa sempre; e lo è ancora di più oggi in Italia dove cresce la presenza degli immigrati musulmani e si aprono nuove moschee.

Come cristiana che pratica il confronto interreligioso faccio mia una massima buddhista, anteriore al sorgere dei tre monoteismi: «Si dovrebbe sempre onorare la religione degli altri. Così facendo, si aiuta la propria religione a crescere e si rende un servizio a quella degli altri». È stato un monaco cristiano, Enzo Bianchi, a farmela conoscere. Mi ha riportato al clima di questa massima la lettura del saggio di Stefano Allievi dal titolo Gli islamismi. I fondamentalismi nei paesi musulmani. L’autore preferisce il termine islamismo a quello di fondamentalismo islamico; è infatti il modo in cui essi, i fondamentalisti islamici, chiamano se stessi. La scelta diventa un segno di rispetto per la diversità. C’è nel titolo un altro elemento significativo: non il fondamentalismo ma i fondamentalismi nei paesi musulmani. Indica già la varietà delle manifestazioni storiche dell’islamismo e il suo legame con le diverse situazioni ambientali.

Allievi è uno studioso che da più di un decennio si occupa di islam europeo e ad esso ha dedicato alcuni libri, tra cui il recente Musulmani d’Occidente, Carocci. Ha un atteggiamento mentale oggi più prezioso che mai: di fronte alla diversità culturale – quella musulmana per noi lo è certamente – cerca di capire mettendosi alla ricerca anche delle ragioni dell’altro, senza rinunciare agli strumenti critici della propria cultura. A questo punto non posso che rimandare ai contenuti di questo saggio che, come l’altro, non può essere riassunto. Elenco invece, come provocazione positiva, alcuni elementi a me poco noti dell’islamismo in un suo aspetto storico ma anche attuale: la sua capacità di interpretare alcuni bisogni esistenziali (e quindi religiosi, politici, culturali) delle popolazioni musulmane. Noi infatti cogliamo attraverso i media solo i percorsi degli islamisti “cattivi”, ma non conosciamo la complessità dei movimenti dal basso e dal profondo.

• La proposta islamista, anche se non ha offerto né offre oggi una praticabilità politica, dà alle popolazioni che la seguono nel suo aspetto di cultura e tradizione, un senso di dignità.

• Ha, anche per gli emigrati in Occidente, modalità efficaci di contestazione della cultura occidentale, nel suo modello laico e consumista.

• Quando innesca un processo dal basso, diventa una forma, anche se impolitica, di cambiamento collettivo a causa della forza della umma (la comunità dei credenti) nella religione musulmana.

• L’islamismo ha una forte carica di domanda di giustizia sociale religiosamente ispirata e di origine trascendente, che gli islamisti traggono dal Corano.

Cristianesimo e islam hanno avuto e hanno oggi al loro interno filoni fondamentalisti storicamente motivati e differenziati: i due saggi lo documentano con rigore e distacco critico. Come la Bibbia è il referente primo dei fondamentalisti cristiani, così il Corano lo è per gli islamisti, malgrado le modalità diverse, addirittura opposte, di rapporto con la propria tradizione religiosa. In tutti e due i casi si apre quindi, sia sul piano religioso che su quello politico, il problema dei problemi: come metterci in relazione a livello individuale e a livello collettivo con questi movimenti che, per loro propria logica religiosa, sono settari, hanno bassissima soglia di tolleranza dell’ambiguità perché il loro Dio è con loro e quindi non hanno accesso al laico strumento del dubbio.

Ci sono sicuramente alcune direzioni fertili. Conoscere e capire queste inquietanti diversità e non fuggire; contestare dentro e fuori di noi la convinzione di possedere la verità sapendo che la verità è un movimento e non uno stato o un possesso; coltivare, come una fragile pianta, la sicurezza che il nostro modo di chiamare, sentire nella nostra vita e pregare Dio è solo uno fra i tanti possibili.

Tullia Chiarioni


 
 
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