DAL FICO ALLA CENA (2) |
Gesù intendeva fondare un nuovo culto? |
Proseguendo sulla tematica del fico dell’ultimo numero, cercheremo ora di sondare la concatenazione tra da una parte il tempio ed il suo superamento, e dall’altra l’ultima cena di Gesù coi discepoli: in essa e con essa Gesù intendeva fondare un nuovo culto? Lo faremo riassumendo le due conferenze tenute nel mese di marzo 2002 da Pius-Ramon Tragan presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’università di Milano. In effetti, il punto culminante della tensione tra Gesù e il culto si manifesta alla fine della sua missione con due gesti che esprimono una grave rottura: la purificazione del Tempio (collegata a livello redazionale con la sorte del fico) e l’ultima cena con i suoi discepoli. La fine del Tempio L’azione violenta e allo stesso tempo simbolica della cosiddetta “purificazione del Tempio” non deve essere interpretata come una volontà di ricostituire il culto giudaico, infondendo uno spirito nuovo e un’interiorità veramente religiosa ai riti e ai sacrifici offerti quotidianamente a Jhwh. Non è una questione di riforma del Tempio all’interno del contesto storico-religioso dell’epoca. Il gesto di Gesù esprime tutt’altra dimensione: indica la fine del Tempio di Gerusalemme, ossia la scomparsa di un culto solenne e ben stabilito elevato alla divinità. Si tratta di un gesto profetico che annuncia la rottura, la disgregazione, la metamorfosi dell’ordine religioso e l’inizio di una realtà nuova, definitiva, in cui sarebbe stata fatta la volontà di Dio nel suo Regno. Quest’interpretazione del Gesù terreno trova una base assai solida nello sfondo del pensiero escatologico e del movimento apocalittico allora presenti in Israele (come abbiamo visto a proposito del fico); con la venuta del Regno il Tempio sarebbe dovuto dissolversi. Così fu inteso dai sacerdoti, dai sadducei, dai leviti. Questo fu un capo d’accusa davanti al tribunale romano che condannò Gesù alla croce: «Pronuncia parole contro il luogo santo; voleva distruggere il Tempio» (cfr Mc 14,58). La reazione dei responsabili religiosi d’Israele (soprattutto sacerdoti, leviti e sadducei) a tale pretesa del Nazareno, rivela la gravità del caso. Essi hanno visto nel gesto di Gesù una provocazione preoccupante, terribilmente minacciosa. Diventò, infatti, la goccia che fece traboccare il vaso e decidere definitivamente il rifiuto del profeta galileo. Abbiamo quindi questa svolta critica e radicale, diretta contro il Tempio di Gerusalemme e volta alla scomparsa di tale economia cultuale destinata a finire. In altre parole nel Tempio, centro della vita religiosa d’Israele, non si dava più alcuna santità, né pietà, né benedizione e salvezza. Ma in che cosa e in quale modo Gesù voleva sostituire il Tempio? Che cosa poteva pensare Gesù stesso riguardo ad una scomparsa del Tempio? Che cosa sarebbe successo con la venuta del Regno di Dio secondo il suo atteggiamento escatologico? L’ultima cena Per trovare una prima risposta sia a questa domanda che a quella iniziale (Gesù intendeva fondare un nuovo culto?), non possiamo separare la sua azione violenta e pubblica nell’ambito del Tempio dall’altro gesto molto importante compiuto da Gesù negli ultimi giorni prima di morire, cioè la sua cena di commiato nell’intimità con i discepoli. Prima di tutto è difficile pensare che, dopo la posizione presa davanti al popolo nell’atrio del Tempio, Gesù avesse interesse a sintonizzarsi e a sincronizzarsi (tramite una ritualissima cena pasquale ebraica) con gli atti di culto e i sacrifici offerti dai sacerdoti e dai leviti nei giorni che precedevano la pasqua, dato l’atteggiamento critico che aveva assunto nei confronti della struttura sacerdotale e levitica. Anzi, diventa difficile seguire e accettare la cronologia comune ai vangeli sinottici, che presenta la cena di Gesù come una cena pasquale, con il sacrificio dell’agnello e con tutti i riti propri di questa celebrazione solenne legata al Tempio di Gerusalemme. La cronologia del quarto vangelo, infatti, non permette di considerare l’ultimo pasto di Gesù con i suoi come la cena di pasqua, poiché Gesù muore sulla croce nel momento in cui al Tempio si sacrificavano gli agnelli per la pasqua giudaica (cioè sia la cena che la morte avvengono un giorno prima rispetto ai sinottici). La cronologia giovannea permette, dunque, una riflessione più coerente. Diventa senz’altro difficile immaginare che Gesù, un paio di giorni dopo una critica così aspra e pubblica alla struttura sacrale, possa aver preso un agnello pasquale per consumarlo solennemente con i suoi discepoli in comunione cultuale con i sacrifici del tempio. Gesù vede in questa sua cena il preannuncio del banchetto escatologico, in cui saranno riuniti tutti i popoli nel Regno di Dio: in questo Regno si sarebbe mangiato e bevuto in un modo e in una condizione totalmente diversa. L’intervento di Dio era vicino. Allora, si può trovare nelle cosiddette parole dell’istituzione pronunciate durante la cena il fondamento che dimostrerebbe che Gesù diventa il fondatore di un nuovo culto? Gesù considerò il pasto di commiato con i suoi discepoli come l’inizio di un nuovo culto mediante la proposta di un nuovo rito, che doveva perdurare nel tempo attraverso i secoli nella celebrazione liturgica della cena? Occorre ricordare che l’ultimo pasto con i discepoli e le (presunte) parole pronunciate da Gesù sul pane e sul vino non si possono considerare seriamente come la prova che il profeta galileo intendesse fondare un nuovo culto. Un’analisi accurata delle fonti scritte, che ci hanno trasmesso la tradizione o le tradizioni più arcaiche, quasi esclude questa possibilità. I testi evangelici e paolini, fonti uniche per l’ultima cena, non offrono una tradizione unitaria dell’evento. Il contesto e la cronologia, come si trovano nei sinottici e in Giovanni, sono diversi. Nel passaggio tra la cena di Gesù e le tradizioni letterarie contenute nel Nuovo Testamento esiste una nebbia fitta. Quindi i testi, che sono le fonti per ricostruire l’ultima cena di Gesù, non permettono di stabilire un racconto originale, una descrizione autentica dei gesti e delle parole come eventi, come norme fondanti, come atti trasmessi ai suoi discepoli con il dichiarato scopo che essi li ripetessero fedelmente come un’azione cultuale. Infatti, dopo l’evento pasquale, i discepoli hanno trasmesso le parole in termini diversi e le hanno interpretate in modi differenti, senza la preoccupazione di una fedeltà strettamente storica. I testi sono solo apparentemente storici, ma in realtà non appartengono al genere storiografico. I testi dell’ultima cena sono piuttosto la testimonianza della prassi seguita dalle comunità primitive. Insomma, i discepoli non hanno capito che in quella cena ci fosse la “fondazione” di un nuovo culto permanente e ancor meno che si trattasse dell’istituzione di un nuovo sacerdozio. La formula ripetitiva: «fate questo in memoria di me» appartiene alla prassi liturgica postpasquale, quando l’agape fraterna era diventata una celebrazione rituale della cena del Signore. Su questo punto, la ricerca è attualmente assai concorde. L’invito all’anamnesi quindi non può esprimere la volontà di Gesù di istituire, prima di morire, un nuovo culto. Gesù intendeva soltanto, in quel momento solenne prima della sua morte, sostituire il culto pasquale del Tempio che tendeva verso la sua fine. Ai suoi discepoli Gesù offre qualcosa in sostituzione del culto ufficiale, nel momento in cui non aveva più senso che il Maestro e i discepoli partecipassero ad esso. L’ultima cena ebbe, in fondo, una funzione sostitutiva nell’ambiente della celebrazione della pasqua giudaica. Questo pasto sostitutivo è un semplice pasto fraterno. Anche la lavanda dei piedi, gesto raccontato dal vangelo di Giovanni, conserva tracce di questo distacco dal culto ufficiale. La lavanda dei piedi, come purificazione che raduna i discepoli intorno a Gesù, si presenta come vera purificazione al posto dei lavacri previsti nel Tempio che ormai dovevano essere superati. Nessuno, nell’ultima cena, aveva in mente di essere chiamato a fondare un nuovo culto o di sentirsi investito come ministro di una nuova celebrazione liturgica. Inutile aggiungere che Gesù attribuì alle parole sul pane e sul vino un significato simbolico. Le parole di Gesù, la frazione e la distribuzione del pane e il giro del calice non esprimevano altro che la sostituzione dei sacrifici consumati ritualmente nel tempio. Sacramenti escatologici? Bisogna riconoscere che non possiamo ricostruire ad un livello strettamente sicuro i contenuti e il senso che Gesù diede all’ultima cena. Possiamo però escludere verosimilmente le riletture e i significati che a quest’ultimo contatto del Gesù terreno con i suoi discepoli sono stati aggiunti in fasi successive, posteriori agli eventi. In questo senso, possiamo escludere l’istituzione da parte di Gesù di un nuovo culto che dovesse persistere per secoli. Possiamo anche escludere che i suoi discepoli avessero capito di essere eletti e ordinati “sacerdoti” in funzione di un culto di carattere duraturo. Possiamo anche escludere che Gesù abbia preteso d’identificare il pane distribuito ai commensali con il suo corpo presente, ancora fisico e mortale. Possiamo escludere che Gesù abbia iniziato il giro della coppa affermando che il vino contenuto dentro fosse il suo sangue. I discepoli non potevano intuire che fosse stato loro chiesto di bere il vino trasformato nel sangue del Maestro. Una tale antropofagia va totalmente esclusa dall’ultima cena. Staccato dal Tempio, Gesù afferma che il nuovo patto del Regno di Dio consisterà nel fatto che la volontà di Jhwh verrà incisa nel cuore degli uomini e che Dio stesso interverrà come giudice e salvatore. L’instaurazione del Regno: ecco il senso e il simbolo di questa cena di commiato. Abbiamo una rottura nei confronti del culto giudaico, ma senza la pretesa di instaurare un altro rito. Gesù si sentiva nella fase storica immediatamente precedente all’intervento di Dio. L’ultima cena fu un’azione simbolica sostitutiva del culto del Tempio, al quale in una prospettiva escatologica viene negata un’ulteriore validità e la continuità della sua forza salvifica. Gesù, interpretando la cena con i suoi discepoli alla luce del Regno e del banchetto messianico, intravvede l’evento della nuova alleanza, in cui la volontà di Dio sarà direttamente incisa nel cuore degli uomini. Per concludere, si può sostenere che Gesù non abbia preteso di fondare un nuovo culto o istituire i sacramenti della seconda alleanza. Non intendeva fondare nuove celebrazioni cultuali né dare avvio ad una nuova tradizione liturgica. Si aspettava una trasformazione vicina del mondo, una nuova creazione, il Regno di Dio e quindi la fine di tutte le tradizioni cultuali e delle strutture liturgiche. Un’analisi storica e critica delle fonti a nostra disposizione e un’interpretazione non sottomessa alla tradizione patristica né alla teologia sistematica posteriore conducono ad una risposta negativa circa la nostra domanda iniziale. Se così è, come possiamo allora pensare e vivere oggi i sacramenti (o la più ampia sacramentalità ecclesiale) nella tensione escatologica, quali simboli della fine del peccato e del male, e quali preannunzi del Regno di giustizia, di santità e di pace in un avvenire immediato? Mauro Pedrazzoli (continua) |