LETTERE
Ma la scuola cattolica?


A voi, direttore e redattori del foglio, che avete aperto la polemica sui contributi alla scuola cattolica non statale, vorrei esprimere qualche mia considerazione, sia per completare il quadro delle vostre riflessioni, sia per chiedervi che cosa vi proponete con la vostra opposizione.

1. La scuola cattolica di ogni livello esiste da sempre. Possiamo dire così, semplificando. Anzi, in Europa (ma dove non lo hanno fatto?) le prime scuole sono state aperte proprio dai preti e dalle suore.

2. In tutto il mondo esistono la scuola non statale e la scuola privata. Almeno per principio, la sola scuola statale può prestarsi a giochi di potere se non di dittature. Penso che l’Italia non corra questo rischio (il governo attuale qualche avvisaglia l’ha data...), ma la scuola non statale andrebbe favorita proprio per difendere il pluralismo della cultura. Oltre al fatto che una certa concorrenza potrebbe fare bene a tutti.

3. A Hong Kong, per fare un solo esempio, la scuola cattolica è finanziata totalmente dallo Stato: dai bidelli ai religiosi, e, naturalmente, a tutti gli insegnanti laici che sono la maggior parte. Gli insegnanti sono scelti in base alle graduatorie e anche le classi sono fatte dal Provveditorato, che – essendo un Paese a minoranza cattolica –, vi manda di preferenza docenti e allievi cattolici.

4. I religiosi in Italia devono pure lavorare per guadagnarsi il pane. Forse a voi sfugge questo particolare. Don Bosco, per esempio, ha voluto che i salesiani non vivessero di elemosina, ma che lavorassero e pagassero le tasse, senza privilegi ed esenzioni. Quale lavoro devono fare i religiosi? I guardiani notturni o i dirigenti d’azienda? Non tutti possono fare liquori o estratti di erbe (e anche questo fino a quando gli altri produttori di queste stesse specialità non comincino a protestare per concorrenza sleale, perché i religiosi entrano nel mercato favoriti, da abusivi o perché non hanno i sindacati...).

5. Molti religiosi hanno scelto di darsi all’educazione e di farlo in modo comunitario. È vero, potrebbero entrare tutti a insegnare singolarmente nelle scuole statali. Ma questo finora non hanno voluto, pur essendo una delle ipotesi possibili (soprattutto se fossimo costretti a chiudere una dopo l’altra tutte le scuole).

6. Si potrebbe obiettare che allo Stato non interessa come si mantengono i religiosi e quale mestiere fanno. Ma a me pare che dei laici che si sentono Chiesa non possono non farsi carico anche di queste questioni.

7. Le scuole cattoliche non raggiungono lo scopo di educare adeguatamente i giovani, come dovrebbero? È su questo piano che sarebbe più utile aprire la polemica, da laici e dall’interno della Chiesa.

8. Gli istituti religiosi hanno cominciato tutti (anche i Gesuiti) a fare scuola ai poveri e agli svantaggiati. Con il tempo, forse perché più efficienti e più rigorosi, ma poi soprattutto per il calare della presenza dei religiosi e il dover stipendiare i numerosi insegnanti laici, le rette sono aumentate e sono state frequentate in gran parte da borghesi (non dai ricchi, che scelgono vie meno faticose e più prestigiose).

9. Le graduatorie. È anche questo oggetto di polemica da parte degli insegnanti delle scuole statali nei confronti di quelli delle non statali che vengono scelti direttamente dalle scuole cattoliche. Ma è fondamentale per una scuola cattolica comunitaria che i docenti condividano i progetti della scuola, sia dal punto di vista educativo, che sociale e religioso. Qui non è in gioco il pluralismo, che chiunque sia stato in una scuola cattolica, sa che è amplissimo (gli integralisti sono equamente distribuiti sia nella scuola non statale che statale: chi scrive ha fatto parte dei suoi studi superiori in una scuola statale).

10. Infine un’ultima preoccupazione. Noi vediamo bene ogni contributo sociale alle famiglie perché permetterebbe a giovani non borghesi e a genitori con più figli di scegliere la scuola che meglio garantisca l’educazione dei loro ragazzi negli anni più delicati della loro vita. Da cattolici dovrebbe dare fastidio anche a voi che le scuole cattoliche siano appannaggio dei ricchi. Per ora il contributo è poco significativo e, probabilmente, non equamente distribuito. Ma è pur sempre un inizio.

Tanti saluti.

Umberto De Vanna

 

Sono lieto di rispondere all’unica obiezione che ci giunge su questo tema: non a caso, dal mondo salesiano, il più rispettabile nell’universo variegato delle scuole private. Gli altri (diplomifici e scuole bene) tacciono e incassano.

1, 2. Sempre il solito equivoco. Non stiamo mettendo in discussione l’esistenza della scuola privata, ci chiediamo solo se sia equo il suo finanziamento da parte della collettività.

3. Che una cosa avvenga o non avvenga a Hong Kong non ci aiuta a stabilire se sia equa.

4. La disoccupazione è purtroppo un problema di molti, non solo dei religiosi. A questo punto il contribuente vorrà sapere a chi serve il buono scuola: alle famiglie povere, alle scuole private in deficit, ai religiosi disoccupati ?

5. E perché no? Gesù insegnava in una scuola pubblica (la sinagoga ancora oggi si chiama la scola in giudaico-piemontese). Dai miei lontani ricordi del liceo (statale) D’Azeglio emerge la figura nobilissima di don Baldassarre Brossa. La mia vita sarebbe stata diversa se don Brossa fosse rimasto chiuso tra le mura di una scuola cattolica.

6, 7, 10. Questi punti sono essenziali per un dibattito tra i cattolici. Noi stiamo trattando un problema dei cittadini, tutti.

8. Questo spiega perché gli lstituti religiosi battano cassa allo stato, ma non perché questa richiesta sia legittima.

9. Giustissimo. Se una scuola vuole caratterizzarsi per il suo orientamento culturale o religioso, deve avere il diritto di scegliersi insegnanti con convinzioni e comportamenti specifici, e di preferire, per esempio, un mediocre insegnante a uno più capace ma non credente o, peggio, divorziato. Sacrosanto diritto, che però esclude, per ovvia incompatibilità, ogni sostegno pubblico.



[ Indice] [ Sommario] [ Archivio] [ Pagina principale ]