SPIRITUALITÀ |
Come abitare la terra da cristiani oggi? |
La vita nello Spirito si misura nella quotidianità, nelle situazioni relazionali che comportano la correzione fraterna nella dolcezza, il portare i pesi gli uni degli altri e lo scambio dei doni. Ciò che sei e ciò che hai lo hai avuto dall’Alto ed è per gli altri. In questo perderti ti realizzi. Secondo Paolo c’è un’esistenza nell’amore che non si stanca di fare il bene, a imitazione di Cristo che è passato facendo il bene. «Quanto a me», dice ancora Paolo, «non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo». In essa egli ha visto l’infinitezza dell’amore di Dio e il dono dello Spirito, accogliere il quale è ingresso in un esserci nell’amore che abbraccia tutti non escludendo nessuno. Questo è l’articolo sui cui il credente poggia la vita, la larghezza della sua vita, il pensare in grande, il cuore largo. Chiamato ad essere ovunque il segno delle mani di Cristo allargate sulla croce, del suo cuore aperto al mondo. Paolo non vuole sapere altro; non gli si parli di leggi, di ideologie e di filosofie. Ciò che conta è essere sempre nuove creature, poiché l’uomo nuovo è la gioiosa fatica di Dio donata alla terra. Nella compagnia degli uomini Come abitare oggi la terra da cristiani? Si tratta di abitarla da santi. Le chiese devono sapere da dove vengono, a chi sono inviate e perché, e da chi sono attese. Sono attese da un mondo che viene definito moderno, postmoderno, della globalizzazione. Questa consapevolezza ci invita ad andare a «questo mondo» con la coscienza di essere nella compagnia umana il racconto di una buona notizia. Questo implica un esodo e una spogliazione. Si tratta cioè di uscire dal mondo di prima che è l’eurocentrismo, spogliati della lettura eurocentrica del cristianesimo ritenuta l’unica, per entrare nel policentrismo religioso e no. Viviamo infatti in un’epoca in cui cristiani, mussulmani, ebrei, induisti, buddisti e non credenti vivono a fianco a fianco. Ciascuno con le proprie ragioni. Le chiese sono comprese come frammenti di fede tra frammenti di fede e questo anche dentro i territori di antica tradizione cristiana. Frammenti liberi da un regime di cristianità in cui reggeva la sinfonia fra nazione, stato e chiesa, l’anacronistica scelta confessionale determinata dall’opzione del principe re, e altresì liberi da una subcultura clericale intesa a impiegare le istituzioni a proprio vantaggio o a concedersi come agenzia dei valori morali in cambio di riscontri economici, mediali e politici. Tutto questo dovrebbe essere messo da parte, liberi quindi dall’ansia del contare e dalla rivendicazione di privilegi, semplicemente rivestiti della forma della croce. L’abito nuziale del riconoscimento delle chiese nella storia umana è l’abito evangelico. Si tratta allora di vivere come frammenti tra frammenti in forma povera e tra frammenti variegati culturalmente poiché il modo di dire la fede, di celebrare la fede, di raccontare la fede varia da un posto all’altro anche se si tratta della stessa fede. Immagine e novità Paolo direbbe che siamo mandati in questo mondo semplicemente per non privarlo della figura della santità. Questa parola di origine ebraica significa «tagliato, separato, altro». Quali dunque i tratti di questa alterità oggi? Essenzialmente due, quello dell’immagine e quello della novità. Che cosa c’è di più grande infatti che il vedere il Dio invisibile rivelato in una persona umana visibile? Ecco che cosa attende il mondo dalle chiese: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le opere vostre e rendano gloria al Padre che è nei cieli« (Mt 5,16). Dio non dona al mondo bibbie e sacramenti ma creature trasformate da entrambi. La visibilità di Dio nella storia è nella visibilità degli amici di Dio, così come la lettera di Dio alla storia è la comunità vivente. Importanza quindi della spiritualità dell’immagine e della novità per cui, a un mondo che fa spreco di vocaboli nuovi, Dio dà uomini e donne che siano lo specchio e la finestra della sua novità, l’antropologia cristiforme. Evento dello Spirito che genera la spiritualità dell’altrimenti, che consiste nel sostare nell’ambito del mondo senza omologarsi ad esso, abitando cioè la Terra in maniera diversa. Secondo la felice espressione di Barth, Dio è il tutt’altro che si fa vicino perché tu divenga tutt’altro di quello che sei. Siamo quindi donati alla Terra in maniera altra, nel senso di non privarla della diversità del Vangelo che deve essere luce e sale; e ciò ci rende stranieri e viandanti, non identificati con la logica del mondo, ma amici di tutti gli stranieri, i quali ci ricordano che siamo tutti figli di un Dio straniero al «così stanno le cose» e non accolto là ove proclama che la Terra non è nostra. Il luogo dove abitiamo ci è stato dato e l’ospitalità fa parte dello statuto dell’uomo. La pretesa padronale dell’uomo viene recisa alla radice. A noi cristiani è toccato in sorte questo: essere segno di una possibile immagine di uomo e di una possibile qualità di vita altamente significative. Ci è stato dato in sorte di incontrare il Cristo e in lui di diventare una creatura nuova, conforme a lui nel pensare, sentire, vivere, morire, risorgere. Il salmista si chiede che cosa è l’uomo e Pilato risponde profeticamente: «Ecco l’uomo», indicando il Cristo. La risposta di Dio allora non è un trattato, ma un volto, una persona. La cristiformità è la nuova forma di esistenza data alle chiese per la storia. Si tratta cioè di essere icone udibili e visibili di Cristo, imparando da Lui, affinché il suo modo di essere diventi il medesimo delle chiese da vivere nella contemporaneità. La pagina e il rito da attraversare Gesù non è un fondatore di ordinamenti sociali, di etiche e neppure di religioni, ma sta davanti a tutti senza distinzioni, testimoniando l’amore del Padre nei confronti di tutti, la misericordia che abbraccia e precede ogni ordinamento, etica e religione. Gesù non dice: «Convertiti e poi vengo a mangiare con te», il discorso del moralismo, ma mangia con te, chiunque tu sia, e chissà che questo non provochi una trasformazione della tua vita. La misericordia quindi precede e fonda ogni relazione, abbracciando sia l’uomo secondo la legge, che sa distinguere il bene e il male, che l’uomo senza legge. Si tratta allora di stare davanti agli uomini, con loro e a loro vantaggio, non facendo dipendere questo da ragioni etiche, sociali, culturali e religiose che dividono gli uomini fra di loro: da nulla di tutto questo. Le chiese al bivio devono avere chiaro che il criterio ultimo che le determina è la chiamata di Cristo a divenire il luogo in cui egli continua a salare, a lievitare, a illuminare la Terra, in sintonia con la sua forma povera, manifestando così l’altrimenti della logica di Dio. Questo altrimenti potrà minacciare i poteri, ma è atteso dai minacciati. Un altrimenti fra il già e il suo non ancora, tra la sua forza trasfigurante già ora e la non corrispondenza che fa della chiesa una porzione di umanità sempre bisognosa di conversione e di perdono, sempre in stato di riforma. Ricomporre l’unità Per attuare questo abbiamo bisogno di una spiritualità della ricomposizione dell’unità, in cui ricomprendere il senso delle scritture, della cena, del sacramento, della compagnia, della persona, della comunità. Nella quotidiana esperienza cristiana sono questi i luoghi attraverso cui Dio si rende presente, per trasformare il nostro modo di essere? Sono luoghi di incontro con il Tu che mi parla, mi si comunica, mi trasfigura? Se ci si ferma alle parole non si arriva alla Parola, al Tu che ci parla e si dona, e si diventa letteralisti e fondamentalisti. Se nella messa non si arriva a comunicare con il Tu che si consegna, si è solo dei ritualisti. Si annega nella pagina e nel rito senza arrivare alla sponda dell’incontro, che è l’unica che trasfigura. Tuttavia ci sono state date la pagina e il rito, ma, come il deserto, da attraversare per arrivare alla terra dell’incontro. Noi invece ci dividiamo a motivo delle nostre pagine, dei nostri riti e delle nostre interpretazioni distanziandoci dalla verità profonda sottesa a tutto questo: diventare pagina e pane personale e comunitario in cui i figli e le figlie sono dati alla terra come fratelli in cui la cura di Dio per sé, per gli altri e per il creato si fa storia. Un modo alternativo di essere uomini. Allo stesso modo bisogna ricomporre 1’armonia fra la grazia, la fede e le opere, e ritornare anche a una spiritualità dell’unità fra il cuore e il corpo. Occorre riscoprire il primato della ridiscesa nel proprio centro interiore per discernere se in esso dimora quell’ineffabile radice che in grazia depone nel profondo pensieri, sentimenti, e decisioni che ove accolti in intera fiducia sono dal corpo resi pubblici nella polis. L’esperienza cristiana è un’esperienza di interiorità, di vuoto, liberando il cuore da ogni idolo e da ogni via idolatrica, di pienezza nell’accoglienza dell’Altro che rende diversi dentro, e di esteriorità, nel senso che è il corpo il luogo che narra ciò che si ha nel cuore e dove il cuore dimora. Pertanto l’essere nella compagnia umana da santi, in una diversità che manifesta il santo e attraverso cui la pietas Dei continua a farsi carico in molteplici forme del dolore del povero mondo è il modo cristiano di abitare la terra. Questo vale, sempre. Giancarlo Bruni |