TORINO
Oltre il condono e il piccone

Da qualche tempo a Torino si è riproposta una annosa leggenda metropolitana: Palazzaccio sì, Palazzaccio no. Liberare il Duomo da quell’opprimente costruzione prospiciente la facciata, messa lì, neppur da tanto, con i soldi e i voti della maggioranza politica della città. Nel bene e nel male un documento «storico» dello sviluppo urbanistico post bellico. Neppure abusivo (fra i tanti) e idoneo alla funzione per cui era stato progettato. Certo, a scapito della bellezza del luogo.

Incaricati di proporre alternative, sono stati sentiti luminari ed esperti, che hanno suggerito l’erezione d’una pudica foglia di fico architettonica a coprire la vergogna, naturalmente a spese del comune. Soluzione che non ha raccolto più di tanti consensi, e anche molti commenti.

Intanto in città si fa spazio il partito del piccone. Osiamo sperare che alla fine non si nascondano più o meno latenti interessi privati, come già visto in altre aree, tipo Nebiolo, Venchi Unica, Lancia, via Livorno, ecc. E al partito del piccone facile – già che ci siamo – vorremmo suggerire di rivolgere l’attenzione su un altro più vantaggioso intervento: l’abbattimento di quanto resta delle carceri di corso Vittorio, per liberarci gli occhi e il cuore da quella triste testimonianza dell’ingiustizia umana.

Con buona pace di chi, in nome di una feticistica documentazione architettonica, superabile con rilievi fotografici e progettuali, spesso blocca proposte pratiche di alienazione di reperti inutili, al cui posto potrebbero destinarsi ben più convenienti e opportuni arredi urbani, come giardini e impianti ludici e sportivi.

Sappiamo dell’esistenza alle «Nuove» di un museo che conserva la memoria su detenuti e incarcerati per varie imputazioni, dai reati comuni all’opposizione alla dittatura: il piccone, ci auguriamo, lo voglia risparmiare.

Luigi Cesare Maletto


 
 
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