MASS MEDIA |
Un labirinto di messaggi |
Esiste indubbiamente un significato circoscritto di propaganda, quello secondo il quale «la propaganda è tipica dei regimi dittatoriali (fascismo, comunismo, fondamentalismo islamico) o di situazioni di conflitto (guerra fredda, ma anche la Guerra del Golfo) dove è riscontrabile un’intenzionalità manipolatrice che urta con i presupposti di non coercizione e di openess che la concezione di spazio pubblico e la forma di democrazia di massa implicano» (G. Mazzoleni, La comunicazione politica, il Mulino 1998, p. 31). In un’accezione più attenuata, però, abbiamo a che fare con esempi di propaganda ogniqualvolta ci troviamo di fronte a messaggi che intendono convincerci della giustezza delle affermazioni che comunicano. Si potrebbe quasi sostenere che pressoché ogni nozione umana ci venga incontro entro una sorta di cornice propagandistica, ma, di fatto, nel parlare di propaganda il riferimento è a messaggi che intendono rivolgersi, nello stesso momento o in un tempo ravvicinato, ad una potenziale massa, o comunque ad un numero il più elevato possibile di persone. Con il continuo proliferare della rete mediatica sembra dunque inevitabile che l’esperienza umana si caratterizzi sempre più come un labirinto di messaggi, nel quale una quantità via via maggiore di idee e informazioni di varia natura ci viene incontro da stampa, radio, televisioni, Internet. Come districarsi in questo labirinto? Ecco una domanda il cui spessore esistenziale può dirsi in costante crescita. È abbaglio da evitare credere che si dia un criterio nitido, esterno (magari di taglio squisitamente politico), facilmente apprendibile che permetta un vaglio sicuro fra notizie meritevoli d’essere seguite o d’essere accantonate, fra propaganda e non propaganda, o forse, meglio, fra una propaganda più bieca ed un inevitabile belletto mediatico. È vezzo intellettuale ritenere che esista un potere capillare in grado di controllare i grandi canali dell’informazione, o che le televisioni oscurino inevitabilmente la realtà e per tastare il vero polso di quest’ultima ci si debba unicamente affidare ad una piccola controinformazione, di fatto carbonara, a cui sola spettino caratteristiche di libertà, lealtà e smascheramento dei torbidi del potere. Un nuovo corpo La convinzione irrigidita, quasi romantica, di trovarsi di fronte ad un Grande Fratello classico sembra scontrarsi con una sostanza nella quale a prevalere è probabilmente il caos più che il dominio organizzato. Con questo non s’intende negare, tanta è l’evidenza, la presenza di poteri molto consistenti in grado di esercitare allarmanti condizionamenti, con l’ausilio di manipolazioni tecnologiche. Occorre però notare, su di un piano più generale, quanto sia avvolgente lo stampo pubblicitario entro il quale ogni aspetto del nostro mondo pare immergersi con cadenza sempre più rapida; anche un proposito benemerito come la promozione della sicurezza stradale, ad esempio, per riscuotere ascolto deve avvalersi di ammiccamenti che possono definirsi propagandistici. Esiste insomma una mutazione, in atto ormai da tempo (alla quale si può forse sperare di sfuggire soltanto con eremitaggi di ardua attuazione), che sta presiedendo alla crescita di una sorta di secondo apparato sensitivo, una carne mediatica per mezzo della quale sotto certi aspetti ci troviamo in condizione di vedere e sentire assai meglio, ma sotto altri infinitamente meno bene. Guardare ed ascoltare attraverso questo nuovo corpo è semplicemente un’esperienza assai incerta ed ostica, esposta ad inganni, generatrice di distorsioni: in essa bisogna essere in grado di stare, abitandone l’ambivalenza, al di là delle denunce isteriche come delle contrapposte apatie. Dalle immagini di due film fuori norma di circa vent’anni fa si possono forse ricavare altrettanti emblemi della situazione odierna. Nel primo, Videodrome (1983), si assiste drammaticamente a questa fusione fra corpo umano e corpo mediatico; nel secondo, Lo stato delle cose (1982), un uomo colpito a morte cade con in mano una cinepresa che, pur nell’atto della caduta, riesce ancora a filmare la fuga degli assassini. Quest’occhio obliquo sul mondo non va tralasciato, alla sua casualità rivelatrice occorre affidarsi, ed esplorare nel dubbio, attendere uno squarcio dietro a cui s’intraveda un gesto al quale concedere attenzione, l’eco di parole da seguire. Massimiliano Fortuna |